martedì 31 gennaio 2012

Comitato antidiscarica, grave atto intimidatorio contro il presidente Rossi

L'avvocato Luigi Rossi  (foto Pozuoli Dice)
(Pubbicato su Cronache di Napoli il 28 gennaio 2012)

QUARTO (Alessandro Napolitano) – Gli hanno infranto un finestrino dell'auto e subito dopo è stato minacciato ed “invitato” a non occuparsi più del comitato antidiscarica impegnatissimo in questi giorni. E'  quanto accaduto Luigi Rossi, uno dei più attivi sul fronte contro la realizzazione di un sito per rifiuti che si vorrebbe realizzare nella zona del Castagnaro, al confine tra Quarto e Pozzuoli. L'uomo, ieri mattina, si trovava al centro commerciale Quarto Nuovo in compagnia della moglie e del figlio. All'esterno della mega struttura era in atto un volantinaggio da parte di chi si oppone alla discarica. Rossi, al rientro in auto, si è accorto del vetro della sua vettura mandato in frantumi. L'uomo ha creduto per un attimo di essere stato vittima di un furto, anche se dall'auto non era stato portato via nulla. Chi aveva infranto i vetri, però, non si era limitato solo a questi, ma si era anche “preoccupato” di deformare in più punti le lamiere e di spargere i frammenti di vetro dappertutto, anche lì dove in forza di un evento “normale” non sarebbero mai arrivati. I primi sospetti, dunque, che non si trattasse di un semplice furto hanno iniziato a serpeggiare nella mente di Luigi Rossi. La conferma che si trattasse invece di un vero e proprio atto intimidatorio è arrivata pochi minuti dopo. Sul telefono cellulare di Rossi è infatti giunta una telefonata anonima. Il tono non ha lasciato dubbi sulla natura della chiamata: “Tu ti devi fare i ca..i tuoi, hai capito? Tu non ti devi più occupare della discarica. Questo è soltanto il primo avvertimento”. E' lo stesso attivista a raccontarlo, pochi minuti prima di entrare nella caserma dei carabinieri di corso Italia per presentare una denuncia contro ignoti. “Questo gesto non è rivolto soltanto a me  - racconta Luigi Rossi – ma a tutta la popolazione di Quarto che si batte contro la realizzazione della discarica. E' un attacco diretto anche al comitato”. Come detto, Rossi racconterà dell'episodio ai carabinieri guidati da maresciallo Antonio Flore. Saranno gli stessi militari, poi, a raccogliere altre preziose informazioni direttamente “sul posto”, come ad esempio eventuali immagini registrate dalle telecamere a circuito chiuso installate nel parcheggio del centro commerciale. Dai fotogrammi potrebbe essere possibile individuare l'autore del gesto intimidatorio e magari risalire ad eventuali “mandanti” dell'azione di minaccia. Luigi Rossi, inoltre, in occasione del consiglio comunale straordinario che si è svolto venerdì, ha denunciato pubblicamente, così come il capogruppo dei verdi Giovanni Amirante, quanto meno sospette compravendite di terreni che in queste settimane sarebbero in corso e riguardanti proprio la zona del Castagnaro. Per ora ci sono soltanto molti sospetti, ma per gli oppositori alla discarica basta per poter accendere più di un riflettore sulla questione.

giovedì 26 gennaio 2012

Parla l'amante dei boss. Anni di sangue e piombo ora hanno un imputato: l'ex marito

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 25 gennaio 2012)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Ha raccontato tutto ciò che sa, dopo aver vissuto per anni al fianco di uomini ritenuti elementi apicali del clan Longobari-Beneduce. Monica Scotto Pagliara è la testimone di giustizia che ha aiutato non poco i magistrati dell’Antimafia ad indagare sull’oramai ex cartello camorristico, duramente colpito al cuore da pesantissime condanne e procedimenti ancora in corso. E’ proprio nell’ambito di uno di questi – il processo con rito ordinario che vede alla sbarra 11 imputati, tra cui il presunto boss Gaetano Beneduce (difeso dall’avvocato Domenico De Rosa) – che la Pagliara ha risposto alle domande della difesa e dell’accusa. La donna è stata addentro agli affari del clan per molti anni, essendo stata legata sentimentalmente con ben tre uomini che hanno avuto ruoli determinanti nell’organizzazione criminale, come il boss Gennaro Longobardi (che sta scontando una pena a 13 anni di carcere per associazione di stampo mafioso ed estorsione aggravata) il presunto boss Beneduce (detenuto dal settembre del 2009 dopo un lungo periodi di latitanza) e soprattutto Giampaolo Villano, destinatario di un’ordinanza di custodia in carcere eseguita il 24 giugno del 2010, durante il blitz che portò in cella decine di affiliati al clan e ricevuta direttamente in cella in quanto già detenuto. Monica Scotto Pagliara è la moglie di Villano, 37 anni, accusato di molti fatti di sangue rimasti per anni a carico di ignoti. Grazie alle approfondite indagini dei carabinieri del comando di Pozzuoli, del Nucleo Investigativo di Napoli e del commissariato di piazza Italo Balbo, ma anche alle copiose dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, molti tentati omicidi compiuti negli ultimi anni a Pozzuoli hanno ora un imputato. La Pagliara, che ha deciso di diventare testimone di giustizia già nel 2004, ha di fatto confermato quanto dichiarato in precedenza durante altri interrogatori. Ora ha raccontato nuovamente davanti ai giudici fatti e circostanze di cui è stata testimone diretta ed indiretta. A carico di Villano, come detto, molti tentati omicidi. Il primo tentato omicidio per cui è imputato risale a quasi 19 anni fa e riguarda il ferimento di Antonio Mele, detto ‘o campagnolo. Il 15 marzo del 1993, nel rione Toiano, Mele venne gravemente ferito da numerosissimi colpi di pistola, tanto da renderlo parzialmente invalido. Contro Villano e in riferimento a questo agguato ben tre collaboratori di giustizia: Antonio Perrotta, Alessandro Lucignano e Francesco De Felice. Giampaolo Villano è anche imputato per la gambizzazione di Nunziante Sannino, avvenuta il primo novembre del 1995. l terzo fatto di sangue di cui è accusato Villano riguarda il ferimento di Giuseppe Trincone, detto Peppe ‘o licc’, il 5 gennaio del 1996. Il pentito Perrotta ha raccontato: "Fu ferito da Giampaolo Villano. Io e Beneduce sapemmo dell'agguato mentre eravamo in Francia, perché il Beneduce ricevette una telefonata, non so da parte di chi". Un’altra corrispondenza arriva dal collaboratore Lucignano: "Io ho assistito personalmente all’agguato,  poiché mi trovavo davanti al bar Fiore[...]sentii sparare, andai sul posto e vidi Trincone che era stato ferito al petto. Vidi anche la macchina che erano arrivati che una Fiat Uno turbo di colore grigia di proprietà di Giampaolo ‘o biondo”.

lunedì 23 gennaio 2012

Camorra, quando il clan minacciava i consiglieri comunali

L'aula consiliare di Quarto

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 22 gennaio 2012)

Di Alessandro Napolitano

Politica e camorra, un connubio ipotizzato da tempo dall'Antimafia di Napoli e che vedrebbe Quarto, ancora una volta, al centro di forti interessamenti da parte del clan Polverino alle vicende che riguardano il consiglio comunale. Consiglieri che avrebbero fatto affari con personaggi ritenuti di spicco all'interno del clan, connivenze tra imprenditoria edile legata ai Polverino e Ufficio Tecnico Comunale, ma soprattutto voto di scambio in cui l'organizzazione camorristica avrebbe avuto un ruolo predominante per più tornate elettorali. Le inchieste dell'Antimafia hanno ipotizzato tutto questo. Emergono, poi, altri particolari che ben descriverebbero la fortissima influenza che gli uomini legati ai Polverino avrebbero avuto direttamente su alcuni consiglieri comunali. Da un'intercettazione effettuata dai carabinieri, infatti, emerge il ruolo di Salvatore Liccardi, alias Pataniello, arrestato lo scorso settembre dopo quattro mesi di latitanza. Il 37enne, parlando con suo cugino Salvatore Camerlingo, (candidato alle amministrative del 2011, ma finito in carcere poco primo della consultazione elettorale) chiede a quest ultimo di minacciare un esponente del Popolo delle Libertà che siede tra i banchi del parlamentino locale per ciò che era accaduto pochi giorni prima, durante una seduta del consiglio e di cui lo stesso Pataniello ne ha appreso dai giornali. Era il 10 gennaio del 2009. Da poco si era svolta una seduta straordinaria del consiglio comunale, durante la quale si erano votati alcuni debiti fuori bilancio. La maggioranza dell'epoca, quella di centrosinistra guidata dal sindaco Secone, era in difficoltà. Molti esponenti dei partiti che sostenevano il primo cittadino erano assenti. Al raggiungimento del numero legale ci si arrivò soltanto grazie alla presenza in aula di alcuni consiglieri del Pdl, cosa che fece saltare i nervi ad Armando Chiaro, coordinatore locale del partito, nonché consigliere comunale dello stesso. Questo quanto accaduto in quei giorni. Liccardi, rivolgendosi a suo cugino Salvatore Camerlingo, afferma: "Mo che ti volevo dire, dopo, devi fare una minaccia" facendo seguire alle sue parole il nome di un esponente del Pdl. Il cugino gli chiede il motivo e Salvatore Liccardi spiega: "dici: "…comunque gli amici stanno... domani mattina fatti trovare alle nove che ti devono parlare. Per il fatto di sopra al giornale, ti devono parlare un poco però a piede fermo glielo devi dire. Eh...eh sopra al giornale sta scritto.." La conversazione intercettata finisce così, ma da quanto emerge dalle cronache politiche di quei giorni appare chiaro a cosa si stia riferendo Pataniello: una chiara influenza sullo svolgimento della vita politica del comune da parte del clan. D'altronde, come detto, è questa l'ipotesi dei pubblici ministeri che stanno indagando a fondo sulla cittadina flegrea. Parte delle vicende, poi, sono già approdate in tribunale, nel quale si sta svolgendo il processo per presunto voto di scambio alle amministrative del 2007.

martedì 17 gennaio 2012

Clan Polverino, catturato il latitante Nicola Imbriani. Per l'Antimafia avrebbe reinvestito i proventi illeciti dell'organizzazione

Nicola Imbriani viene portato in carcere

(Pubblicato su Cronache di Napoli il 15 gennaio 2012)

PADOVA (Alessandro Napolitano) – Si stava organizzando per un'uscita serale, assieme al suo autista di fiducia, quando è stato letteralmente circondato da almeno venti carabinieri. E' finita così, a Brugine in provincia di Padova, la latitanza di Nicola Imbriani, l'imprenditore edile sospettato di essere un uomo legato al clan Polverino e destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere che doveva essere eseguita il 3 maggio scorso, ma a cui si sottrasse. Otto mesi di latitanza. Tanto è durata la “fuga” di colui che proprio oggi compie 57 anni. Un altro successo, dunque, per i carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli e del maggiore Lorenzo D'Aloia che va ad aggiungersi a quelli degli ultimi mesi. Nicola Imbriani si trova ora rinchiuso nel carcere “Due Palazzi” di Padova. L'interrogatorio di convalida è previsto per questa mattina e non si esclude che l'imprenditore possa essere sottoposto al regime di “carcere duro”, quello previsto dall'articolo 41 bis del regolamento penitenziario. Con Imbriani sono finiti in manette, accusati di favoreggiamento aggravato, altre due persone di Quarto. Si tratta del suo autista, Giorgio Cecere. Di 36 anni, imprenditore anch'egli e candidato alle ultime amministrative tra le fila di Noi Sud e di Salvatore Sciccone, quartese di 46 anni che gli avrebbe fornito l'abitazione. In realtà si tratta di un residence con ogni comfort. Al momento della cattura Imbriani non ha tentato alcuna fuga, ma nel suo portafogli c'era una carta d'identità falsa, intestata ad un cittadino di Bacoli su cui si sta indagando per verificare se questi fosse a conoscenza dell'escamotage messo in piedi dall'imprenditore per continuare a latitare. Una fittissima rete di conoscenze in tutta Italia ed una disponibilità di denaro praticamente senza limiti. E' stato grazie a tutto ciò che Nicola Imbriani è potuto sfuggire all'arresto per ben otto mesi. Grazie alla sua attività di imprenditore edile, infatti, il 57enne ha costruito abitazioni e realizzato opere pubbliche in tutte le regioni del Centro e del Nord Italia, intessendo non pochi rapporti d'amicizia. Non sarebbe stato facilissimo, per i carabinieri, rimanere sulle sue tracce. Continui spostamenti, ravvicinati nel tempo ed anche di centinaia di chilometri. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli, però, l'avevano già braccato da tempo ed attendevano solo il momento giusto per stringergli le manette ai polsi. Nonostante si trovasse in Veneto, a centinaia di chilometri da Quarto, suo comune di nascita e di residenza, Imbriani poteva contare sull'appoggio di due suoi conterranei, arrestati nello stesso blitz, scattato intorno alle 21 di sabato sera. Come detto il 57enne non ha opposto alcuna resistenza ai carabinieri. Nel suo residence non è stata trovata alcuna arma da fuoco né grossi quantitativi di denaro in contanti, come invece avvenuto in occasione della cattura di altri latitanti legati al clan Polverino. Per mesi ci si è chiesti dove si trovasse l'imprenditore. Ora sembra tutto più chiaro. Il 57enne non avrebbe lasciato l'Italia, ma si sarebbe affidato unicamente alle sue amicizie sparse dappertutto. Un fitta rete che però non gli ha evitato l'ingresso in carcere.  

sabato 14 gennaio 2012

Clan Polverino, Armando Chiaro e la casa del boss: "Ecco perché la intestai a me"

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 13 gennaio 2012)



QUARTO (Alessandro Napolitano) – Armando Chiaro, l'ex consigliere comunale accusato di essere un “colletto bianco” del clan Polverino, avrebbe fornito ai magistrato la sua versione dei fatti riguardante una delle principali accuse che gli vengono mosse, quella di essersi intestato un appartamento riconducibile al boss Giuseppe Polverino. L'ex coordinatore quartese del Popolo delle Libertà ha incontrato in carcere, dove è detenuto da oltre otto mesi, i magistrati ai quali avrebbe raccontato di essere volato in Spagna e di essere l'intestatario di un appartamento nel quale vivrebbe la compagna del boss latitante. Un racconto, però, che avrebbe mirato a dimostrare che la scelta di firmare un contratto di locazione di un'abitazione riconducibile all'introvabile capoclan sarebbe avvenuta dietro la forte pressione di un altro presunto affiliato all'organizzazione, anch'egli attualmente detenuto dal 3 maggio scorso. La deposizione di Armando Chiaro sarebbe avvenuta prima della chiusura delle indagini da parte dell'Antimafia di Napoli e dietro richiesta dello stesso indagato. Questa, per ora, la novità giudiziaria più importante sull'inchiesta che nel maggio scorso culminò con un vero e proprio terremoto giudiziario per la cittadina flegrea. Decine di arresti, tra cui anche candidati alle elezioni amministrative. Oltre allo stesso Chiaro (che verrà anche eletto con 385 preferenze, prima che il prefetto sospendesse la sua elezione) infatti, ad essere stato inserito nelle liste elettorali c'era anche Salvatore Camerlingo, finito in manette nel corso dello stesso blitz, all'alba del 3 maggio scorso. Negli ultimi mesi il castello accusatorio dei pubblici ministeri si sarebbe arricchito copiosamente, soprattutto dopo la scelta di collaborare con la giustizia da parte di Roberto Perrone, ex ras dei Polverino per ciò che concerneva gli affari quartesi del clan. E' stato anche grazie alle dichiarazioni di Perrone che il 27 dicembre scorso sono finti sotto sequestro decine di appartamenti, box auto e negozi, tutti considerati beni immobili riconducibili ai Polverino e realizzati in via Viticella, località collinare di Quarto. Dichiarazioni che però hanno finito per far tremare anche e soprattutto il mondo della politica locale, nelle quali è stato tirato in ballo un "attuale consigliere comunale, con il quale già in passato avevamo fatto degli investimenti che in seguito riferirò". Mansarde da costruire con un investimento per centinaia di migliaia di euro, ma che alla fine sfumò. Lo stesso pentito, poi, oltre a fare nuovi nomi di politici con i quali il clan avrebbe fatto affari, nomina ancora una volta Nicola Imbriani, il noto imprenditore edile ancora latitante che riuscì a sfuggire all'arresto durante il blitz di maggio. Nonostante i tanti arresti arrivati dopo maggio, nei confronti di coloro che erano riusciti ad evitare le manette – come Salvatore Liccardi, alias Pataniello – di Imbriani ancora nessuna traccia. Così lo descrive il pentito Domenico Verde: “Egli è un costruttore che svolge la sua attività insieme a Giuseppe Polverino; egli svolge la sua attività pertanto, insieme al clan Polverino. L’ho incontrato anche a Coma Ruga (vicino Barcellona, ndr) in quanto egli venne a parlare con Polverino Giuseppe di un problema concernente la discarica dei rifiuti di Quarto che era stata interessata da un sequestro”.

mercoledì 11 gennaio 2012

Clan Longobardi-Beneduce, per gli assolti in arrivo nuovo processo. Ci sono anche il figlio e il fratello del presunto boss

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 10 gennaio 2012) 


POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Inizierà presto il processo di Appello nei confronti dei nove assolti che lo scorso 21 settembre non hanno ricevuto alcuna condanna al termine del processo al clan Longobardi-Beneduce. La Procura di Napoli, infatti, ha deciso di ricorrere contro le assoluzioni decise dal giudice Federica Colucci. Tra gli assolti, 9 su ben 54 imputati, c'è anche uno dei figli di Gaetano Beneduce, Massimiliano e uno dei suoi fratellastri, Gennaro Ferro. Gaetano Beneduce, ritenuto dall'accusa uno dei promotori dell'organizzazione camorristica, è imputato nell'altro “ramo” del processo al clan, che si sta celebrando con rito ordinario. Massimiliano Beneduce, 39 anni, è stato assolto dall'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, stesso reato contestato inizialmente anche a Gennaro Ferro, 45 anni, a cui però andavano sommate anche le accuse di traffico di stupefacenti e porto abusivo di arma da fuoco. In quanto non detenuti peri altri motivi, il giudice dispose il 21 settembre scorso la loro immediata scarcerazione. Come detto, però il processo a carico del presunto boss Gaetano Beneduce (difeso dall'avvocato Domenico De Rosa) va avanti. La prossima udienza è stata fissata per il 28 gennaio prossimo. Beneduce si trova in carcere dal 28 settembre del 2009, da quando fu catturato dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Napoli, guidati dal maggiore Lorenzo D'Aloia, alla stazione centrale di Napoli di piazza Garibaldi. Beneduce era appena sceso da un treno intercity proveniente da Roma. Con lui aveva un documento falso. Era latitante dal 2006, dopo aver violato il regime di sorveglianza speciale al quale era sottoposto. Il 24 giugno del 2010 ha ricevuto un'ordinanza di custodia cautelare direttamente in cella, al culmine dell'inchiesta “Penelope”. Con lui ricevettero lo stesso provvedimento restrittivo altre 83 persone, tutte accusa di essere affiliate al clan che fa capo al boss Gennaro Longobardi e allo stesso Beneduce. Dopo appena15 mesi di detenzione, per 54 di loro, arrivava la sentenza. A 20 anni di cella venivano condannati Salvatore e Procolo Pagliuca, rispettivamente padre e figlio, ritenuti il braccio destro di Longobardi durante la detenzione di quest ultimo (che dura dal 13 maggio 2003) Ora altri 11 imputati attendono lo sviluppo del processo di primo grado. A sostengo dell'accusa le copiosissime dichiarazione di tre collaboratori di giustizia: Francesco De Felice, Antonio Perrotta e Rosario Solmonte, ascoltati nuovamente in questi ultimi giorni.  

domenica 8 gennaio 2012

Discarica abusiva, i carabinieri denunciano l'ex consigliere Ernesto Simeoli

Ernesto Simeoli

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 7 gennaio 2012)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Seimila metri quadrati di terreno, appartenenti all'ex consigliere comunale Ernesto Simeoli, adibiti a discarica per rifiuti speciali, in particolare materiale di risulta da lavori edili. E' quanto hanno scoperto i carabinieri del Noe, il Nucleo Operativo Ecologico di Napoli, dopo aver effettuato un sopralluogo a Monterusciello, in via Cupa delle Fescine. I militari hanno trovato grossi quantitativi di rifiuti non solo legati ad attività edilizie, ma anche vetro, plastica e legno. Ulteriori rifiuti abbandonati, poi, avrebbero addirittura costituito una sorta di terrazzamento, tra l'altro recente. Sul posto, infatti, non sarebbe stata trovata alcuna traccai di vegetazione. Gli ulteriori accertamenti, però, hanno permesso di risalire anche alla proprietà del terreno in questione risultato essere di Ernesto Simeoli, ex consigliere comunale di Pozzuoli. L'uomo, imprenditore edile, gestisce assieme al figlio, una società che si occupa di proprio di ristrutturazioni edilizie e di altri lavori connessi, anche per la pubblica amministrazione. L'ex consigliere comunale, però, si difende: “Purtroppo ho lasciato incustodito quel terreno ed il materiale ritrovato sarà stato sversato da ignoti, a mia insaputa. Soltanto i basoli in pietra lavica appartengono a me. Questi li ho depositati io, per conservarli, in quanto sono difficili da reperire sul mercato. Per il resto, ripeto, non ne so nulla”. Ernesto Simeoli, dunque, afferma di non conoscere l'origine di gran parte del materiale ritrovato durante il sopralluogo dei carabinieri del Noe. Intanto, però, la vicenda sembra acquisire un'altra connotazione, più politica. A far scattare i controlli, infatti, pare abbia contribuito in maniera determinante “l'interessamento” di diversi consiglieri comunali della ex opposizione di centrosinistra. Questi, a loro volta, avrebbero raccolto le lamentele di diversi residenti della zona riguardanti proprio la presenza di rifiuti sull'appezzamento di terreno di proprietà dell'ex consigliere comunale. L'intera vicenda, per ora, si è conclusa con la denuncia a piede libero di Simeoli, per violazione delle norme vigenti in tema di rifiuti, mentre l'intero terreno di 6mila metri quadrati è stato sottoposto a sequestro giudiziario ed affidandone la custodia allo stesso proprietario. Simeoli, come detto, si è difeso, ma resterebbe comunque la sua responsabilità in merito al mancato controllo del terreno e su eventuali sversamenti ad opera di ignoti. La denuncia a suo carico scaturisce dalla violazione dell'articolo 6 della legge 210 del 2008 (riguardante chi "in modo incontrollato o presso siti non autorizzati abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette nelle acque superficiali o sotterranee ovvero incendia rifiuti pericolosi, speciali ovvero rifiuti ingombranti domestici e non, di volume pari ad almeno 0,5 metri cubi e con almeno due delle dimensioni di altezza, lunghezza o larghezza superiori a cinquanta centimetri)