sabato 26 gennaio 2013

Rottweiler abbandonato azzanna due passanti

(Pubblicato su Il Mattino del 20 gennaio 2013)

di Alessandro Napolitano  Hanno riportato ferite in tutto il corpo, dovute ai morsi di un rottweiler randagio che gli si è scagliato contro. Una coppia, marito e moglie di 50 e 43 anni, è dovuta ricorrere alle cure del pronto soccorso. Ne avranno almeno per dieci giorni. Il cane, accalappiato dai veterinari dell'Asl, ora si trova rinchiuso in un canile pubblico. I due, in pieno giorno, erano appena scesi dall'auto quando hanno visto avvicinarsi il cane. Nulla lasciava presagire quale reazione avrebbe avuto l'esemplare di rottweiler. «Inizialmente il cane ha anche scodinzolato - racconta uno dei due feriti - ma subito dopo c'è stata l'aggressione, inspiegabile. Non abbiamo fatto alcun gesto particolare o avuto un atteggiamento tale da indurre l'animale ad attaccarci». Il primo ad essere aggredito è stato il 50enne. Morsi ad entrambe le gambe, ma anche alle braccia. La donna, che sembrava non essere nelle mire del cane, ha avuto addirittura la peggio. Dopo aver visto sanguinare suo marito è stata aggredita alle spalle. Profonde le ferite riportate alle natiche. I due, soccorsi da diversi passanti intervenuti per placare la violenza del rottweiler, sono stati poi accompagnati all'ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli. La prognosi più lunga è quella riguardante la donna a cui i medici del pronto soccorso hanno dovuto applicare dieci punti di sutura. Suo marito, oltre a diverse ferite alle gambe, si ritrova ad avere entrambe le braccia fasciate per i numerosi morsi subiti. Lavoro non facile, inoltre, per gli esperti dell'Asl Napoli 2 Nord. Il cane, infatti, prima di essere accalappiato, ha dato filo da torcere. Ora è rinchiuso nel canile pubblico nel quale vengono trasferiti i randagi da parte dell'azienda sanitaria, a Qualiano. Nessun collare, targhetta o microchip per il rottweiler. L'ipotesi più accreditata è che l'animale sia stato recentemente abbandonato. Difficilmente infatti animali di questa razza, tra l'altro molto costosi, si trovano tra branchi di cani randagi. Pare inoltre che il cane, prima dell'aggressione ai danni della coppia di coniugi, non sia mai stato visto in giro nella zona. Visto la mancata individuazione del proprietario, la polizia municipale ha fatto partire una denuncia d'ufficio a carico di ignoti per «abbandono di animale». Sono tantissimi, in città, i branchi di cani randagi che si aggirano tra i passanti. Soltanto in pochi casi, però, è accaduto che persone siano state attaccate. Mai prima d'ora, però, si era vista un'aggressione così violenta, tra l'altro nei confronti di due persone. Nei mesi scorsi, a Pozzuoli, un uomo aveva trascinato in tribunale sia l'azienda sanitaria che il Comune, dopo essere stato ferito da un randagio. L'Asl, condannata al risarcimento, è ricorsa in appello ritenendo l'ente locale il solo responsabile del fenomeno del randagismo.

Scarcerato Palumbo, il ras delle estorsioni. Dopo aver scontato 10 anni di carcere per appartenenza al clan Longobardi-Beneduce

(Pubblicato su Il Mattino del 23 gennaio 2013) 

di Alessandro Napolitano Nicola Palumbo è tornato libero. Il 48enne, conosciuto anche come «Faccia abbuffata», ha scontato in carcere dieci anni di detenzione, accusato di aver fatto parte del clan Longobardi-Beneduce. L'uomo era finito in manette nel 2003, all'epoca del blitz dei carabinieri contro la mala flegrea, al termine dell'inchiesta della Procura Antimafia di Napoli sulle estorsioni al mercato ittico. Considerato un «pezzo da 90» del clan, Palumbo era inserito nell'ala quartese dell'organizzazione, conosciuta come «quelli del Bivio». Durante la detenzione Plaumbo ha ricevuto altre ordinanze di custodia cautelare, tra le quelli quella collegata alla seconda grande inchiesta sui Longobardi-Beneduce, nel giugno del 2010. Un anno e mezzo dopo, però, arriva l'assoluzione. L'accusa aveva chiesto 12 anni di carcere. Ripetuta poi poche settimane fa, durante il processo di Appello che si sta ancora celebrando. La sentenza Palumbo l'ascolterà da uomo libero, anche se in regime di sorvegliato speciale. E' accusato di estorsione aggravata nei confronti di un ormeggiatore di Pozzuoli. La presunta vittima ha raccontato di aver versato nelle casse dell'organizzazione fino a 10mila euro all'anno di tangente per poter lavorare senza avere problemi. Palumbo si sarebbe poi recato dall'ormeggiatore dopo che quest'ultimo «osò» praticare un prezzo di favore ad un suo cliente. Quindi facendo concorrenza ad un altro ormeggiatore legato al clan. Drammatico il racconto della vittima che emerge dagli atti dell'inchiesta: «Dopo avermi percosso, mi hanno imposto di andare via da quel tratto di spiaggia e io fui costretto ad andarmene - aggiungendo - Quando venni minacciato con la pistola mi fu inserita la canna in una delle narici e venni picchiato e mi spaccarono il naso». Nicola Palumbo però è stato condannato anche per reati diversi, come l'aver istigato alla corruzione un agente della polizia penitenziaria. Avvenne nel carcere San Giuliano di Trapani. Dietro il pagamento di 1500 euro, Palumbo e altri quattro detenuti cercarono di ottenere un trattamento particolare: aragoste, babà e mozzarella di bufala, il tutto annaffiato da champagne francese. La guardia denunciò l'accaduto, facendo scattare un'altra accusa per «Faccia abbuffata».

lunedì 21 gennaio 2013

Clan in aula, il legale del Comune rinuncia. Doveva essere parte civile nel processo Polverino

(Pubblicato su Il Mattino del 19 gennaio 2013)

di Alessandro Napolitano Avrebbe dovuto curare gli interessi del comune fino alla sentenza del processo contro il clan Polverino, ma ha rinunciato all'incarico. Colpa del «deserto» che gli si è creato attorno col passare del tempo. L'avvocato Luigi Rossi ha detto «basta» al suo impegno che riguardava la costituzione di parte civile del comune nel procedimento che vede alla sbarra anche imprenditori di spessore, accusati di aver fatto affari con il clan che fa capo al boss indiscusso Giuseppe Polverino, detto 'o barone. Il legale, scelto dall'ex sindaco Massimo Carandente Giarrusso, ha restituito quanto il comune gli aveva versato per affrontare il processo, tra cui il suo onorario: appena 250 euro. Una cifra simbolica, accettata lo scorso maggio unicamente per formalità. «Avevo espressamente richiesto al sindaco Giarrusso di essere presente durante il processo. Il primo cittadino, non ha mancato un solo appuntamento. E' stato sempre al mio fianco a rappresentare il comune». A luglio, però, sono arrivate le dimissioni della fascia tricolore. Firmate dopo le perquisizioni dei carabinieri all'Ufficio tecnico e l'iscrizione nel registro degli indagati di quattro persone. Giarrusso, non indagato, gettò la spugna e lasciò l'incarico di sindaco. Era l'ennesimo terremoto giudiziario che scuoteva Quarto. L'avvocato Rossi, però, prosegue nel suo incarico. Acquisisce l'intera documentazione a carico degli imputati. Oltre 30mila pagine, tra intercettazioni telefoniche e informative. Da quel momento, però, il legale resterà solo nella sua missione. Al comune c'è oramai un commissario prefettizio che non potrà seguirlo nelle aule di tribunale per impegni istituzionali. A via De Nicola giungono diverse richieste scritte per ottenere la presenza attiva di un rappresentante del comune. L'unico risultato ottenuto fu però un'auto della municipale che lo accompagnò fin fuori l'aula bunker di Poggioreale. «Non era certo questo che avevo richiesto, l'auto ce l'ho - spiega l'avvocato - Ma anche dopo le altre mie richieste inoltrate non ho mai ricevuto alcuna risposta. Ecco perchè ho restituito tutto». Ora il processo sarà seguito da un altro legale. E' il procedimento che si sta celebrando con il rito ordinario. L'altro, con rito abbreviato, si è concluso con pesantissime condanne meno di un mese fa. Ma non porterà alcun risarcimento: il comune, infatti non riuscì a costituirsi parte civile, per un grave errore di valutazione dei tempi.

martedì 15 gennaio 2013

Casa di riposo non in regola: via alla chiusura. La struttura "Nuovi incontri" con sede in via Castagnaro. Tre mesi di tempo, ma famiglie e anziani annunciano barricate

(Pubblicato su Il Mattino del 13 gennaio 2013)

di Alessandro Napolitano Novanta giorni di tempo per chiudere la struttura e riaffidare tutti i suoi ospiti ai familiari. L'ordine perentorio è partito dal comune, inviato alla casa di riposo per anziani «Nuovi Incontri» di via Castagnaro. Chi gestisce la struttura, però, è pronto ad azioni clamorose, come portare gli stessi anziani e i dipendenti della casa di riposo fin fuori la sede che ospita gli uffici comunali. Alla base la scoperta di un abuso edilizio che riguarda, però, soltanto una parte della casa di riposo. La chiusura della struttura sarebbe una vera tragedia per i circa 30 anziani ospitati al suo interno, così come racconta il titolare, Gennaro Varriale: «Qui ci sono persone entrate oltre 25 anni fa. Per molti rappresenta la loro vera casa. Non si è mai verificato alcun episodio come tanti se ne sono purtroppo sentiti in altre case che ospitano anziani. Voglio stare dalla parte della legge. L'abuso c'è stato, ma si tratta soltanto della chiusura di un terrazzo. Non sarebbe giusto far andare via tutti gli ospiti da questa casa, dopo 26 anni di attività e la totale solidarietà di tutti gli anziani, dei loro familiari e dei dipendenti». La vita vissuta all'interno della casa di riposo, però, si scontra con la fredda realtà delle carte bollate. La vicenda si trascina da anni. Era il 2008 quando la polizia sanitaria del Nucleo di igiene pubblica dell'Asl Napoli 2 scoprì «gravi inadempienze e violazioni amministrative». Poco dopo un sopralluogo della polizia del commissariato di Pozzuoli arrivò la diffida al titolare a continuare la propria attività. L'anno dopo il sindaco ordinò ai Servizi sociali di provvedere al trasferimento di tutti gli ospiti presso le abitazioni dei parenti o altre strutture, oltre allo sgombero della casa di cura. Cosa che avvenne regolarmente, prima però che il proprietario la riaprisse nuovamente. A marzo scorso nella casa di riposo arrivano però i carabinieri del comando per la tutela della salute. Ha inizio una nuova «battaglia» burocratica. Gennaro Varriale inoltra una richiesta di autorizzazione al funzionamento. Sarà tutto inutile. Nei giorni scorsi il coordinatore dell'Ufficio di piano ordina di nuovo la cessazione di tutte le attività ed il relativo trasferimento degli anziani ospitati al suo interno. L'abuso edilizio c'è ed è parzialmente ammesso dallo stesso titolare che spera però in una sorta di «clemenza» da parte dei magistrati che si stanno occupando del caso. La vicenda potrebbe poi subire una svolta già in settimana. In Cassazione, infatti, verranno depositati tutti i documenti che il titolare, assieme al suo legale di fiducia Pietro Conte, ritiene rilevanti. «Per gli anziani ospitati questa casa di riposo è la loro vera residenza - spiega l'avvocato - Molti di loro hanno nelle proprie stanze anche mobili di proprietà e altre loro cose. I familiari sono pronti anche  alle barricate». Intanto il tempo scorre ed il termine previsto per lo sgombero di avvicina. Tra chi non ne vuole sapere di lasciare la casa di riposo c'è Raffaele, il più anziano: 97 anni; Gennaro, il primo ospite ad entrare nella struttura, nel 1988 o Assunta, la donna che detiene il record di permanenza: 17 anni. Pronti a difendere la casa di riposo anche le dieci famiglie dei dipendenti che lavorano qui da anni e che rischiano di rimanere senza occupazione.

giovedì 10 gennaio 2013

Anziana massacrata per il suo "tesoro". Presi dopo un anno

(Pubblicato su Il Mattino del 8 gennaio 2013)

di Alessandro Napolitano Donne anziane che vivevano da sole e in zone isolate. Era questo l'obiettivo della banda di rapinatori sgominata grazie alle indagini dei carabinieri. Tra i diversi colpi messi a segno anche quello finito in tragedia, con la morte di Antonietta Gigante, 76 anni. La donna venne ritrovata cadavere nel suo letto, dopo essere stata selvaggiamente picchiata. Era il 19 novembre del 2011. Poco più di un anno di indagini per chiudere il cerchio. Fondamentali i riscontri scientifici effettuati all'interno dell'abitazione della donna uccisa, in via Alice a Licola. Ugualmente importanti le intercettazioni telefoniche partite all'indomani di un'altra rapina consumata una settimana prima di quella finita nel sangue. Una «colpo» avvenuto a poche centinaia di metri di distanza dalla casa di Antonietta Gigante. Vittima una donna di 80 anni, trovata dai suoi vicini di casa con i polsi legati. Troppe analogie con la rapina che sarebbe poi costata la vita ad Antonietta Gigante, anche lei legata con un foulard, picchiata e lasciata agonizzante sul suo letto. Le indagini - inizialmente svolte alla Squadra Mobile, poi affidate ai carabinieri delle compagnie di Pozzuoli e Casal di Principe e coordinate dalla Procura di Napoli - partirono dai primi rilievi ematici. Diverse la tracce di sangue ritrovate nell'abitazione, sulle pareti, sulla lenzuola, lungo le scale. Ma soprattutto su una banconota da 50 euro che i rapinatori persero durante la fuga. Il sangue era riconducibile in gran parte alla donna. Ma ulteriori esami scientifici aprirono nuovi scenari investigativi. Il 30 novembre scorso viene arrestato Jeton Jella, albanese di 25 anni. E' accusato della prima rapina, sempre a Licola, commessa assieme ad un connazionale della stessa età, Xheli Besim. Con loro finiscono in manette anche due donne. La prima è Assunta Silvestro, 36 anni che abita a poca distanza dalla residenza dove viveva Antonietta Gigante e di cui conosceva tutte le abitudini. Un particolare importantissimo secondo i carabinieri. Era nell'abitazione della 36enne, infatti, che i componenti della banda attendevano il momento migliore per entrare in azione e rapinare le anziane del quartiere. A prelevare i rapinatori, portandoli nella «base operativa» di Cancello ed Arnone, ci pensava un'altra donna: Maria Domenica Lettieri di 38 anni. L'omicidio di Antonietta Gigante, invece, è stato compiuto secondo i carabinieri da Giovanni Lettieri, 40 anni, fratello di Maria Domenica. Tra le abitudini della vittima e ben note alla «basista» Assunta Silvestro quella di conservare in casa ingenti somme di denaro. Sposata con un piccolo commerciante poi deceduto, Antonietta Gigante avrebbe continuato ad avere rapporti di denaro con piccoli imprenditori e negozianti. A loro, infatti, avrebbe prestato diverse somme dietro il pagamento di forti interessi. Tra le prime piste battute dagli inquirenti, infatti, proprio quella della vendetta o ritorsione da parte di chi era finito nella rete di usura della donna. Ipotesi poi tramontata dopo ulteriori indagini. Si scavò ovviamente nelle vita privata della 76enne. Sotto la lente degli inquirenti anche i suoi più stretti parenti. Legami familiari non troppo cristallini quelli della donna, come con il boss Gennaro Longobardi, capo dell'omonimo clan di Pozzuoli e di cui Antonietta Gigante era zia. Un piccolo «tesoretto» in casa quello custodito dalla donna di cui però non è stata mai rinvenuta alcuna traccia. Sotto il materasso sarebbero stati nascosti oltre 10mila euro in contanti. Una somma che avrebbe poi attirato l'attenzione della banda di rapinatori, ma che avrebbe anche fatto aprire un fascicolo con l'accusa di omicidio.

Giovanni Lettieri, l'uomo accusato dell'omicidio
I verbali
"Sì, le ho dato un pugno. Zitta o lo tiro anche a te"

Un pugno in pieno volto per metterla a tacere. E' stata ammazzata così Antonietta Gigante. Il colpo fatale le venne sferrato da Giovanni Lettieri. E' quanto emerge dagli interrogatori degli indagati ora rinchiusi in carcere. Notevole spinta alle indagini sono arrivate dall'arresto di Assunta Di Silvestro. Ai pm ha raccontato: «Sono stato io ad ucciderla. Le ho dato un pugno in faccia. Qualche problema? Lo vuoi anche tu un pugno in faccia? Oppure lo devo dare ai tuoi figli?». Parole pronunciate da Lettieri subito dopo la sanguinosa rapina e rivolte a chi si era appena resa conto di aver dato una mano ad un assassino e non più solo ad un rapinatore. «Quando li vidi scendere dalla macchina, mi affacciai al balcone e chiesi: Ma che avete combinato? Avete ucciso la vecchia? Sentita questa affermazione Giovanni Lettieri si arrabbiò e disse: Vuoi fare la fine della vecchia anche tu? E ha proseguito nelle sue minacce per altri minuti dicendomi che se avessi riferito a qualcuno quanto accaduto avrei fatto la sua stessa fine, ripetendo che avrebbe colpito anche me con un pugno al volto e poi al petto». Raccapricciante anche il racconto di Besim Xheli: «salito al piano superiore dell'abitazione ci ha detto 'controllate voi la casa che mantengo io la vecchia'. Al momento del nostro arrivo la donna dormiva. L'azione è durata circa 20-30 minuti. Abbiamo preso circa 11mila euro, ma proprio mentre stavamo andando via, la donna si è svegliata e ha iniziato ad urlare. Non è stata legata ma ho visto Giovanni che gli metteva una mano sulla bocca per non farla urlare. Durante il nostro rientro a Cancello Arnone, Giovanni ci diceva di aver dato un pugno alla vecchia per farla stare zitta. Quando siamo usciti la vecchia non urlava più»

domenica 6 gennaio 2013

Feste e sagre, ecco le regole contro i clan. La terapia dei commissari al comune. Per gli organizzatori obbligatorio presentare i certificati penali

(Pubblicato su Il Mattino del 4 gennaio 2013)

di Alessandro Napolitano Feste, concerti, sagre. Troppo alto il rischio di infiltrazioni della camorra secondo la Prefettura. D'ora in poi tutti gli organizzatori di eventi saranno obbligati a presentare il proprio certificato penale che dovrà risultare «lindo». La risposta di via De Nicola è stata rapida: un severo regolamento che prevede, tra gli altri requisiti che dovranno possedere gli organizzatori, anche il non essere imputato in processi penali riguardanti la criminalità organizzata. Il commissario straordinario Vincenzo Greco, alla guida della macchina comunale dallo scorso agosto, ha dato dunque seguito alle richieste dell'Ufficio territoriale di governo di Napoli secondo il quale a Quarto, così come in altri comuni «a rischio», ci sarebbe il fondato «pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata nelle feste popolari e religiose». E' stata la stessa prefettura ad indicare i possibili «spunti» per l'emanazione del regolamento ora reso effettivo dopo il «via libera» del commissario. Alle autorità competenti dovrà essere fornito l'elenco dettagliato degli organizzatori, divisi per ruoli. Ognuno dovrà poi provvedere alla presentazione del certificato penale nel quale saranno indicati eventuali precedenti, così come attestato dal casellario giudiziario: «Tutti gli Enti e le Associazioni devono aver cura che i propri componenti siano persone di specchiata moralità, che non abbiano procedimenti penali in corso relativi alla criminalità organizzata e alla morale pubblica; a tal fine, l’istanza dovrà contenere i certificati del casellario giudiziario e dei carichi pendenti di tutti i componenti le Associazioni e dei Comitati organizzatori». Giro di vite anche per quanta riguarda finanziamenti e spese. Comitati ed organizzatori dovranno infatti «garantire la trasparenza contabile delle risorse utilizzate». Un capitolo a parte, poi, è previsto pe la festa patronale che si svolge ogni anno a settembre. Il percorso dovrà essere concordato preventivamente con la polizia municipale, così come è sempre avvenuto. Ma chi sarà alla guida del veicolo dietro il quale sfileranno i fedeli a «Santa Maria», dovrà anch'egli dimostrare di «essere di nota moralità» e che «non abbia alcun procedimento penale in corso relativi alla criminalità organizzata e alla morale pubblica» e ovviamente di non avere mai avuto condanne. Una stretta necessaria, dunque, anche alla luce di quanto emerso dalle indagini della Procura antimafia che ha indagato a lungo sulla criminalità organizzata di Quarto. Dagli atti dell'inchiesta che ha portato agli arresti e alle recenti condanne di numerosi affiliati al clan Polverino emerge che Salvatore Liccardi, una delle figure di spicco ed ex braccio destro di Roberto Perrone, «confessa inconsapevolmente di essere responsabile di atti estorsivi nei confronti degli organizzatori dei festeggiamenti in occasione della ricorrenza della santa patrona di Quarto, santa Maria». Nella rete del clan sarebbero finiti anche alcuni cantanti che si sarebbero poi esibiti durante i festeggiamenti per la santa patrona della città. «Sono andato a vedere il fatto dei cantanti a chi devo...hai capito?». Così parlava Salvatore Liccardi al telefono, proprio nei giorni in cui in città fremevano i preparativi per la festa patronale. Una telefonata ascoltata e trascritta anche dagli uomini della Procura. Per la camorra un'occasione ghiotta, dunque, la festa patronale. Ora però tutti gli organizzatori dovranno fornire i propri attestati giudiziari. Multe salate sono previste per i trasgressori, nonchè la revoca delle autorizzazioni per lo svolgimento degli spettacoli.