venerdì 30 dicembre 2011

Camorra, parla il pentito Roberto Perrone. "Trema" la politica locale



Roberto Perrone
(Pubblicato su Cronache di Napoli del 29 dicembre 2012)

QUARTO (Alessandro Napolitano) – Starebbero per far tremare il mondo della politica quartese e maranese le dichiarazioni del pentito ed ex ras del clan Polverino, Roberto Perrone, detto Paperone. Il collaboratore di giustizia, infatti, in uno dei suoi recentissimi interrogatori, ha tirato in ballo un consigliere comunale la cui identità non è stata ancora resa nota, ma secretata dai magistrati dell’Antimafia partenopea le cui indagini, dopo il blitz dello scorso 3 maggio e i 39 arresti che ne sono seguiti, hanno portato al sequestro preventivo di beni mobili ed immobili per un valore di circa 27 milioni di euro. Il collaboratore di giustizia, il 2 agosto scorso, ha dichiarato: "Polverino Giuseppe, verso la fine del 2010, mi propose di investire una considerevole somma di denaro per l’acquisto di 6/8 mansarde, ovviamente attraverso un prestanome che potesse giustificare una tale disponibilità economica". Perrone, a questo punto, fa il nome di un "attuale consigliere comunale, con il quale già in passato avevamo fatto degli investimenti che in seguito riferirò". Un affare da circa 560mila euro quello che avrebbe dovuto vedere la luce, ma che non andò in porto in quanto il consigliere comunale "dovette fare marcia indietro poiché non avrebbe mai potuto dimostrare una tale disponibilità". Enormi disponibilità di abitazioni e posti auto, quasi tutte realizzate nella zona collinare di via Viticella, a Quarto. Sono quelle finite sotto sequestro venerdì scorso. A riguardo, determinati, sembrano essere state le rivelazioni del pentito Perrone, il quale ha descritto con dovizia di particolari, come l’affare immobiliare è stato messo in piedi: "A proposito dei beni nella diretta disponibilità del clan Polverino in particolare di Giuseppe Polverino e di altri affiliati al clan ho redatto un elenco di proprietà che di seguito provvedo ad elencare: 33 tra appartamenti e mansarde attualmente in fase di ultimazione in via Viticella ad opera di Nicola Imbriani (attualmente latitante, ndr) Questo fabbricato è suddiviso, di fatto, in quote composte in questo modo: il 30% a Polverino Giuseppe e Polverino Antonio per il tramite di suo figlio Salvatore, detto Toratto; il 15% a me e mio cognato Castrese Paragliola che poi fu escluso dalla quota con il mio subentro; 15% a Nicola Imbriani". Perrone, poi, cita un altro noto imprenditore quartese nonchè consigliere comunale, che però non risulta indagato nè destinatario di altre misure. Quest ultimo avrebbe avuto una quota del 15 per cento. Per i magistrati dell'Antimafia che stanno indagando senza sosta sugli affari illeciti del clan Polverino a Quarto, Perrone, prima del suo pentimento sarebbe stato "pienamente addentrato nel farraginoso mondo delle concessioni edili e dei permessi per costruire, forte della connivenza dei soggetti preposti al rilascio delle citate autorizzazioni, il Perrone controlla tutti i lavori edili eseguiti sul territorio quartese". Se ne deduce, dunque, che Perrone non avrebbe agito da solo, ma attraverso "conniventi" amministratori della cosa pubblica.

giovedì 8 dicembre 2011

Clan Longobardi-Beneduce, tentata estorsione ad un ristoratore: arrestato Francesco Casillo

Francesco Casillo

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 7 dicembre 2011)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Dovrà scontare una pena residua di un anno e 17 giorni di carcere, accusato di concorso in tentata estorsione aggravata. Per Francesco Casillo, 58 anni, si sono aperte le porte del carcere di Poggioreale. I fatti contestati all'uomo risalgono al 27 ottobre del 2006. Francesco Casillo avrebbe partecipato ad un tentativo di richiesta estorsiva ai danni di un imprenditore attivo nel campo della ristorazione. Lo avrebbe fatto, inoltre, favorendo il cartello camorristico dei Longobardi-Beneduce, all'epoca in piena lotta interna, dopo la spaccatura in due fazioni contrapposte. Quella di appartenenza di Francesco Casillo sarebbe stata la più vicina al boss Gennaro Longobardi ed in particolare al gruppo di Quarto, detto “quelli del Bivio”. Il suo ruolo sarebbe stato quello di “portavoce” di alcuni affiliati durante un tentativo di estorsione. La vicenda ebbe inizio nell'ottobre di cinque anni fa. Secondo quanto ricostruito dai carabinieri di Pozzuoli, l'imprenditore avrebbe ricevuto la “visita” di due affiliati al clan, tra l'altro condannati un anno fa per altri reati. Si tratta di Raffaele Di Roberto, 37 anni, detto 'o russ e Giuseppe Chiaro, 36 anni. I due sono stati condannati rispettivamente a 13 anni e 12 anni e 8 mesi, sempre per estorsione aggravata. I due affiliati, dopo aver cercato di entrare in contatto con l'imprenditore e non riuscendoci, gli avevano dato appuntamento all'esterno di un caseificio di Quarto, per il giorno successivo. Non presentandosi, l'imprenditore dovette subire la visita di un'altra persona che gli rinnovò l'invito a presentarsi. Secondo i giudici questa persona era Francesco Casillo. L'uomo, inoltre, sarebbe stato riconosciuto anche da alcuni carabinieri che si trovavano all'interno del ristorante, ma “camuffati” da clienti. I militari erano lì perché già stavano indagando sul tentativo di estorsione. “Quello o’ Russ ti sta aspettando a Quarto un’altra volta”. Con queste inequivocabili parole Francesco Casillo fece ben capire all'imprenditore che bisognava a tutti i costi incontrare gli altri affiliati. Inutili, poi, sarebbero stati i tentativi di ottenere una sorta di sconto sulla richiesta estorsiva, magari barattandola con pranzi gratuiti. Ad incastrare Casillo anche l'auto utilizzata per raggiungere il ristorante, una Fita Seicento, di proprietà del padre 85enne. Francesco Casillo risulta essere anche uno dei componenti della “scorta” che per diverse settimane circondava Carmine Riccio, detto “Peppe faccia verde”, condannato a 11 anni di reclusione per associazione di stampo mafioso e altro nello stesso procedimento a carico di Di Roberto e Chiaro. Riccio, nel 2004, era obbligato a firmare presso l'allora stazione dei carabinieri di Quarto. Ogni qualvolta l'uomo doveva recarsi in caserma, diverse persone erano appostate nei dintorni, a piedi, in auto e in sella a motociclette. Tra questi, c'era anche Francesco Casillo. Il gip, nel giugno di un anno fa, rigettò la richiesta di ordinanza cautelare a suo carico, nell'ambito dell'inchiesta Penelope che portò in cella decine di affiliati al clan Longobardi Beneduce. Oggi però, il 58enne ha dovuto varcare ugualmente l'ingresso del carcere di Poggioreale.  

venerdì 25 novembre 2011

14enne molestata dal nonno durante le vacanze, scatta l'arresto

(Pubblicato su Cronache di Napoli il 24 novembre 2011)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Avrebbe commesso violenza sessuale sulla nipote di appena 14 anni, durante le vacanze estive. Dopo tre mesi di indagini e di riscontri da parte della Procura di Latina, è stata spiccata un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari sul presunto “mostro”, nonno della ragazzina. Si tratta di un 59enne di Pozzuoli, ora costretto a rimanere tra le mura di casa, almeno fino a nuovo provvedimento. Ad eseguire l'arresto è stato il commissariato di polizia della cittadina flegrea. Un'orribile vicenda dai contorni ancora più foschi quella emersa dopo che la presunta vittima ha deciso di raccontare tutto. La violenza sessuale si sarebbe consumata all'interno di un campeggio di Formia, in provincia di Latina. Un'intera famiglia di Pozzuoli aveva deciso di trascorrere le vacanze estive sulla costa laziale, presa d'assalto da turisti napoletani durate i mesi più caldi dell'anno. Con i genitori c'è anche la figlia di 14 anni, nonché il nonno di 59. Probabilmente, approfittando della momentanea assenza dei genitori, il nonno avrebbe avvicinato la nipotina quando nessuno era nelle vicinanze. Qui si sarebbe consumata la violenza sessuale. Per la ragazzina di 14 anni sarebbe poi iniziato un vero e proprio incubo. Da una parte la vergogna per quanto subito e dall'altra il dubbio se tenere l'orribile segreto tutto per sé o invece raccontare quanto accadutole ai genitori. Dopo giorni di angoscia, la ragazzina ha deciso di farsi coraggio e di liberarsi del segreto. Increduli i genitori della 14enne che hanno poi deciso di contattare subito le forze dell'ordine. A sostegno della ragazzina, poi, è intervenuta anche una psicologa. Un lungo “percorso” per superare il fortissimo trauma ha dovuto affrontare la ragazzina che a quanto pare si sarebbe dimostrata molto coraggiosa e matura. L'aspetto più difficile è stato raccontare l'intera vicenda consumatasi in famiglia a persone sconosciute, come psicologi e magistrati. Un racconto esaminato con molta attenzione da parte degli inquirenti, fino a giungere alla conclusione che a compiere la violenza sessuale era stato senza alcun dubbio proprio il nonno della ragazzina. L'uomo, ad oltre tre mesi dai fatti di cui è accusato, si è visto piombare in casa gli agenti del commissariato di Pozzuoli che gli “ordinavano” di non lasciare la sua abitazione, di non incontrare alcuna familiare che non risiedesse nella sua stessa casa e di non tentare in alcun modo di rientrare in contatto con la nipotina. Quest'ultima dovrà lavorare ancora con gli psicologi per concludere il suo percorso riabilitativo, ma in famiglia sembra esserci ottimismo. Ancora un'orribile storia di violenza sessuale in ambito familiare a Pozzuoli. Nel luglio dello scorso anno un 53enne che per sei anni, dal 1996 al 2002, abusò addirittura della figlia minorenne. L'uomo è stato poi condannato a 10 anni di reclusione per violenza sessuale continuata, con le pene accessorie dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell'esercizio di tutela e curatela.

sabato 24 settembre 2011

Processo ai Longobardi-Beneduce, arriva la sentenza. Pene severissime per i Pagliuca

Il boss Salvatore Pagliuca
(Pubblicato su Cronache di Napoli il 22 settembre 2011) 

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Sono tutte pesanti le condanne arrivate al termine del processo abbreviato contro i 56 imputati ritenuti affiliati all’oramai disciolto clan Longobardi-Beneduce. Il giudice Federica Colucci ha ritenuto tutti i condannati colpevoli di associazione di stampo mafioso, oltre che a vario titolo, per spaccio, estorsione e armi. Con 46 condanne e 9 assoluzioni, la sentenza emessa ieri mattina ha anche un altissimo valore simbolico. Raramente, infatti, la macchina della giustizia è stata così rapida. Dal 24 giugno 2010, giorno del blitz dei carabinieri nell’ambito dell’operazione Penelope, a ieri sono trascorsi meno di 15 mesi. Dagli arresti alle pesanti condanne un lasso di tempo relativamente breve, dunque. Ad essere ritenuti i veri promotori del clan, seppur intervenuti in una fase successiva dalla nascita del sodalizio, sono i componenti della famiglia Pagliuca. Salvatore Pagliuca, alias Totore ‘o biondo e suo figlio Procolo sono stati condannati a 20 anni di carcere, mentre la moglie di Salvatore, Partorina Arcone, ha dovuto ascoltare una condanna a 18 anni di cella. I loro volti erano visibili nell’aula bunker del carcere di Poggioreale attraverso collegamenti in videoconferenza dalle case circondariali nelle quali sono detenuti in regime di 41 bis, il “carcere duro”. Meno pesanti le condanne per gli altri due figli di Totore ‘o Biondo. Cinzia Pagliuca ha rimediato 6 anni, mentre sue fratello Mario 10. Assolto il marito di Cinzia Pagliuca, Salvatore Baldino nei confronti del quale i pubblici ministeri Antonello Ardituro e Gloria Sanseverino – titolari dell’inchiesta che portò al blitz di un anno fa – avevano chiesto 10 anni di carcere. La moglie di Procolo Pagliuca, Francesca Mastantuoni è stata condannata a 6 anni, ma l’accusa ne aveva chiesti 9. Tra le altre condanne spicca per pesantezza quella emessa nei confronti di Ferdinando Aulitto, anch’egli condannato a 20 anni di carcere. Per Leonardo Avallone e per suo fratello Vittorio, considerati tra i più importanti spacciatori di stupefacenti di Monterusciello, le condanne sono rispettivamente a 14 anni e 11 anni e 8 mesi di cella. Antonio Luongo, alias Tonino ‘o Pazz e su cui già gravava una sentenza in Appello a 24 anni di carcere, è stato condannato ad altri 14 anni. Per uno dei figli del presunto boss Gaetano Beneduce (imputato in un altro procedimento con rito ordinario) Rosario Beneduce, il giudice ha emesso una condanna a 14 anni, due anni in più rispetto a quanto richiesto dall’accusa. Umberto De Simone, detto ‘o storto, è stato condannato a 12 anni. Per quanto riguarda gli appartenenti al gruppo quartese denominato “Quelli del Bivio”, Carmine Riccio e Ferdinando Marcellino sono stati condannati entrambi ad 8 anni di carcere, mentre Nicola Palumbo, detto Faccia Abbuffata, è arrivata una sentenza di assoluzione, ma resta in carcere in quanto detenuto per altri reati associativi, tra cui quello di estorsione aggravata nell’ambito del mercato ittico all’ingrosso di Pozzuoli. Come detto sono nove gli assolti: oltre a Nicola Palumbo e Salvatore Baldino, il giudice ha assolto anche Castrese Attore, Giancarlo Bucci, Sergio Covone, Eugenio Del Giudice, Mario Piscopo, uno dei figli di Gaetano Beneduce, Massimiliano e di uno dei suoi fratellastri, Gennaro Ferro. Per quest ultimo la richiesta di condanna era stata di 18 anni. E’ senza dubbio una sentenza storica quella emessa ieri mattina e che potrebbe avere l’effetto di demolire del tutto ciò che rimaneva ancora in piedi dell’ex cartello dei Longobardi-Beneduce, nato “ufficialmente” nel 1997 all’indomani del duplice omicidio dei boss Raffaele Bellofiore e Domenico Sebastiano e a cui erano poi subentrati i Pagliuca. 

venerdì 5 agosto 2011

Persino la festa patronale nelle mani del clan Polverino

Salvatore Liccardi, detto "Pataniello"
(Pubblicato su Cronache di Napoli il 3 agosto 2011)

QUARTO (Alessandro Napolitano) – Le mani della camorra sulla festa patronale della città. Emergerebbe anche questa sconcertante verità dagli atti dell’inchiesta “Polvere”, culminata con l’emissione di 40 ordinanze di custodia cautelare in carcere, eseguite in gran parte lo scorso 3 maggio. La festa è quella di Santa Maria, santa patrona di Quarto, mentre il clan è quello dei Polverino, in particolare l’ala quartese dell’organizzazione criminale. Secondo gli uomini dell’Antimafia che hanno curato le indagini sul clan che fa capo al boss Giuseppe Polverino, uno dei presunti affiliati, Salvatore Liccardi detto Pataniello, 37 anni e irreperibile dal giorno del blitz, parla con colui che una volta era il suo “superiore”. In un’intercettazione, il 37enne conversa con Roberto Perrone, attualmente detenuto. Secondo gli inquirenti non ci sono dubbi. Salvatore Liccardi "nella circostanza confessa inconsapevolmente di essere responsabile di atti estorsivi nei confronti degli organizzatori dei festeggiamenti in occasione della ricorrenza della santa patrona di Quarto, santa Maria". Ma la conversazione tra Liccardi e Perrone, sempre secondo l’Antimafia partenopea, avrebbe anche un altro significato. E’ nel corso dello scambio di battute tra i due, infatti, che Pataniello descriverebbe a Roberto Perrone i nuovi assetti del clan, cambiati durante il periodo di carcerazione dello stesso Perrone. Secondo l'Antimafia, Salvatore Liccardi "riferisce grazie all’utilizzo di sopranomi e termini criptici a comunicare al Perrone che l’attuale reggente del clan Polverino è Cammarota Salvatore e che i suoi più fidati luogotenenti sono egli stesso e Simioli Giuseppe". Salvatore Cammarota è stato arrestato lo scorso 15 luglio, dopo essere sfuggito all’arresto il 3 maggio scorso. Si parla poi di “declassamenti” e “promozioni” all’interno del clan, nel frattempo succedutisi in assenza di Perrone. A decretare le ascese e le bocciature all’interno dell’organizzazione sarebbe “zia Carmela” che, sempre secondo gli investigatori, altro non è che Giuseppe Polverino, alias Peppe ‘o barone. Durante un'altra conversazione intercettata dalle forze dell'ordine, uno dei presunti affiliati al clan parla con Perrone dell'ascesa di Cammarota all'interno dell'organigramma: "Il “Nennillo” qua te lo ricordi piccolino? Quello ha conosciuto ora l’ha conosciuto…il Papa l’ha conosciuto…". Anche su questo punto gli inquirenti non hanno dubbi: "Evidentemente, anche in questo caso il riferimento al Papa deve essere letto con riguardo alla posizione apicale del Polverino Giuseppe che, evidentemente, ha avallato la crescita criminale del Cammarota, conoscendolo, vocabolo che, in gergo criminale attribuisce una sorta di riconoscimento formale del ruolo all’interno del clan". A conferma dei mutati assetti all’interno del clan ci sono anche alcune dichiarazione del pentito Domenico Verde: “Al primo posto nell’organigramma del clan vi è ovviamente Polverino Giuseppe detto ‘o barone o anche ‘o zio oppure zio Antonio. Al secondo posto indubbiamente vi è Cammarota Salvatore detto gioiello o anche gioia".

mercoledì 9 marzo 2011

Fa fuoco ad una festa di compleanno, tre feriti in un ristorante


(Pubblicato su Cronache di Napoli del 9 marzo 2011)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Tragedia sfiorata, lunedì sera, all’interno di un ristorante di Pozzuoli,  in via Serapide. Un colpo di pistola, sparato accidentalmente da un 42enne della zona, ha ferito tre persone alle gambe, con prognosi che oscillano tra i 10 ed i 20 giorni. L’autore dell’incauto gesto, A.B. incensurato di 42 anni, dipendente di uno studio legale della città, è stato arrestato con l’accusa di lesioni e di porto illegale d’arma da fuoco comune in luogo pubblico. Soltanto il caso ha voluto che la pallottola partita dalla pistola dell’uomo non abbia ferito in maniera più grave chi si trovava in quel momento all’interno del ristorante, tra cui molti bambini. Era da poco passata la mezzanotte e al tavolo a cui era seduto il 42enne c’erano altre 15 persone, quasi tutti legati da vincoli familiari. In quel locale si stava festeggiando il compleanno di uno dei parenti del 42enne. La cena si avviava verso il termine quando l’avvocato ha estratto senza alcun motivo la pistola dalla fondina, forse per mostrarla ai commensali. Non si trattava di una pistola “comune”, ma di una Beretta 98 “Steel”, calibro 9,21. Gravissima , però, l’imprudenza dell’uomo che non solo non aveva inserito la sicura alla pistola, ma aveva persino un colpo in canna, pronto a partire. Cosa che purtroppo si è verificata davanti a decine di persone. Un’unica pallottola è partita dall’arma, andando a colpire ben tre persone sedute una di fianco all’altra: il suocero dell’uomo, di 64 anni, la zia di 70 e la cugina della moglie, di 37 anni. All’interno del ristorante è immediatamente scoppiato il panico tra gli avventori. In molti hanno creduto inizialmente ad un litigio durante il quale sarebbe stata estratta la pistola. Dopo pochi istanti, però, in molti capiscono che si è trattato di un incidente, seppur gravissimo. Tutti i bambini presenti all’interno del ristorante hanno iniziato a piangere. Tra questi, molti erano seduti proprio al tavolo del 42enne. A prestare i primi soccorsi ai feriti sono stati gli stessi gestori del ristorante e i parenti. Dopo pochi minuti sono giunte diverse volanti della polizia, del vicino commissariato di piazza Italo Balbo. I feriti sono stati poi trasportati in due ospedali diversi, il Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli ed il San Paolo di Fuorigrotta. E’ stato proprio all’interno di quest ultimo nosocomio che A.B. è stato fermato dalla polizia. Era arrivato per sincerarsi delle condizioni della zia. L’uomo è stato portato al commissariato puteolano dove ha raccontato di essere stato molto imprudente, ma che non aveva alcuna intenzione di ferire nessuno dei presenti al ristorante. Intanto nella sua abitazione, sempre a Pozzuoli, gli agenti trovavano l’arma e 49 pallottole. In pratica, nella pistola era stata inserita una sola munizione, purtroppo sufficiente a provocare il ferimento di tre persone. L’uomo è stato arrestato e portato nel carcere di Poggioreale. L’uomo deteneva soltanto il permesso per poter sparare in poligono e quello per detenere l’arma, ma non poteva assolutamente portarla in giro incautamente come ha fatto. 

lunedì 7 febbraio 2011

Sauro Secone sfiduciato, in 17 firmano le dimissioni

Pubblicato si Cronache di Napoli del 5 febbraio 2011




QUARTO (Alessandro Napolitano) – Sauro Secone non è più sindaco. Alle 12,45 di ieri 17 consiglieri comunali hanno rassegnato le proprie dimissioni. Tra di loro anche chi ha fatto parte della maggioranza di centrosinistra fino a poche ore prima. Finisce così, dopo 1349 giorni, l’avventura da sindaco del medico umbro. Tre anni e mezzo dopo il trionfo delle amministrative, al termine delle quali il sindaco Secone sconfisse a mani basse il suo principale antagonista, Leonardo Apa, il medico ha impattato contro gran parte di quegli stessi consiglieri che erano nella sua coalizione nel 2007. A firmare le dimissioni, infatti, ci sono Giovanni Amirante, capogruppo dei Verdi; Pasquale Di Criscio, capogruppo dell’Italia dei Valori, Gennaro Esposito, capogruppo del Partito Democratico fino ad una settimana fa; Leopoldo Carandente Tartaglia, ex democratico e presidente del consiglio comunale fino al 30 novembre scorso; Michele Di Falco, capogruppo dell’Udc, Nunzio Felaco, Carlo Mario Giaccio e Giuseppe Esposito, tutti dello scudo crociato. Ci sono molti membri della sfasciata maggioranza, quindi, tra chi ha voluto porre fine all’esperienza consiliare del “dopo Salatiello”. Oltre a chi è stato eletto nella compagine vincente del centrosinistra per poi prendere altre strade, quindi, tra i firmatari anche l’intera opposizione formata dal Popolo delle Libertà: Eugenio Iannicelli, capogruppo del Pdl, Leonardo Apa, Francesco Carputo, Armando Chiaro, Antonio Carandente Perreca, Andrea Micillo e Francesco Fernandez, oltre all’ex forzista Antonio Contini, poi passato nel gruppo misto. Sconcerto tra i consiglieri comunali che non hanno aderito alla raccolta di firme da protocollare e consegnare nella mani del segretario comunale, Amedeo Rocco il quale ha già contattato la Prefettura di Napoli da cui arriverà la designazione del commissario prefettizio che guiderà la cittadina flegrea fino al 15 maggio prossimo, data in cui con ogni probabilità Quarto tornerà al voto, esattamente quattro anni dopo l’ultima andata alle urne. Intanto la città si prepara ad una nuova campagna elettorale. Il sindaco Secone aveva annunciato a gennaio che nel caso si fosse andati a nuove elezioni si sarebbe senza altro candidato, ma ieri mattina sembrava meno convinto della decisione, non nascondendo una certa amarezza per quanto avvenuto pochi minuti prima. Quarto, dunque, per la quarta volta consecutiva deve fare i conti con un’amministrazione comunale terminata prima della sua scadenza naturale. Era già accaduto nel 1999 con l’allora sindaco Antonio Ciraci, al suo secondo mandato consecutivo; l’anno dopo toccherà a Gabriele Di Criscio, dichiarato non eleggibile per essersi dimesso troppo tardi dalla carica di amministratore della Quarto Multiservizi. Nel 2006 toccò al sindaco di centrodestra Pasquale Salatiello finire anzitempo il suo mandato, dopo le dimissioni di 18 consiglieri. Oggi la storia si è ripetuta, mentre la città è in ansia per la possibile realizzazione di una discarica in una delle cave di via Spinelli. Un’esperienza, quella dell’oramai ex sindaco Secone, segnata dai rifiuti, dunque. Nel 2007 iniziò il suo incarico con una città sommersa di spazzatura. Tre anni e mezzo dopo, Secone lascia una città a dir poco spaventata e sempre alle prese con i rifiuti in strada.  

“Francamente mi ero stufato di dover dare ascolto a chi mi chiedeva di tutto, tra piaceri personali di ogni tipo e di sentirmi tirare la giacchetta a destra e a sinistra”. L’ex sindaco Secone tenta di vedere il bicchiere mezzo pieno dopo essere stato di fatto “defenestrato” da 17 consiglieri. Secone, poi, cerca di ricostruire quanto è avvenuto ieri mattina durante una normale riunione di giunta, nel mezzo della quale è arrivata la notizia delle dimissioni. “Ciò che è accaduto ieri mi ha lasciato quanto meno perplesso – racconta Secone – Stavamo affrontando un tema delicato, come il rilascio di una concessione edilizia in via del Primo Maggio (72 alloggi, ndr) forse arrivata con troppa facilità da parte dell’Ufficio Tecnico. Spero a questo punto che la Procura indaghi su questo e su altri aspetti. Gli interessi in questa città sono stati sempre forti e, evidentemente, gli interessi personali e i poteri forti hanno forse determinato questa decisione di dimissioni di massa, il cui significato pieno mi appare oscuro e nebuloso”. Parole durissime quelle dell’ex sindaco, “caduto” a detta sua per gli interessi particolari che da sempre governerebbero la città. Ancora una volta, dunque, nasce il sospetto che ad aver rotto il giocattolo abbia contributo il “mattone”. Sospetti pesanti, ma a quanto pare condivisi. Cosa accadrà ora? Fogne da realizzare, raccolta differenziata porta a porta, finanziamenti in arrivo, distretto sanitario. Tanti i progetti destinati, probabilmente a restare tali dopo la fine anticipata della consiliatura. Ma c’è soprattutto l’eventuale realizzazione di una discarica che la Provincia di Napoli avrebbe individuato in via Spinelli. “A sostenermi ci sono anche quelle diecimila persone che sabato scorso hanno marciato contro la discarica – aggiunge Secone - Un messaggio ribadito anche appena l’altra sera nel consiglio comunale straordinario e plenario. Adesso si è scelto in modo inopinato e irresponsabile di far perdere alla città di Quarto un punto di riferimento istituzionale. Adesso non so, francamente, cosa potrà accadere. Di sicuro io, da privato cittadino, continuerò ad essere in prima linea al fianco dei comitati antidiscarica per dire un chiaro e netto «no» alla discarica ai confini tra Quarto e Pozzuoli. Chi ha firmato le dimissioni, evidentemente, vuole solo bruciare il futuro di Quarto e ne dovrà rispondere agli elettori”. Cadrà nel vuoto anche l’ultimo atto, quello firmato congiuntamente anche da Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida contro la discarica?

Il Popolo delle Libertà - che dall’estate del 2009 ha dovuto ricoprire da solo il ruolo di partito di opposizione, dopo l’ingresso dell’Udc  in maggioranza – non usa mezzi termini per definire l’operato del sindaco Secone e della sua compagine di governo dal 2007 ad oggi. “I consiglieri comunali dimissionari – sottolineano congiuntamente gli esponenti del Pdl quartese -  hanno finalmente posto fine all’amministrazione secone liberando la città da una gestione che è stata sempre lontana dalla logica politica, senza riempire di contenuto i suoi continui proclami, concentrandosi solo ed esclusivamente su un equilibrio numerico, reclutando sempre nuovi consiglieri e trasformando continuamente la giunta”. Solo proclami, quindi, secondo il Pdl che attacca l’ex sindaco Secone anche sui continui rimescolamenti nella squadra di governo che, numeri alla mano, parlano di ben 24 diversi assessori in 42 mesi, l’ultimo dei quali, Francesco Di Criscio all’Istruzione, nominato appena 8 giorni fa. Ci sono state,  poi, poltrone a dir poco traballanti, come quella all’Ambiente, come ricordano gli stessi consiglieri del Pdl dimessisi ieri mattina. “L’ex sindaco Secone ha cambiato sei assessori con delega all’Ambiente ed il risultato, purtroppo, oggi è sotto gli occhi di tutti: la differenziata e la Multiservizi sono infatti al collasso – aggiungono i consiglieri del Popolo delle Libertà - La città ormai è invivibile sotto tutti i punti di vista, e cosa più grave è che dopo quattro anni si parla ancora di progetti”. Sul tema dei rifiuti il Pdl non sembra voler giocare la carta dell’intransigenza: “Da domani in poi saremo noi in prima linea, soprattutto come cittadini, insieme alle associazioni - fuori da formalismi istituzionali - per dire no alla discarica a qualunque costo e cercando di non essere gli uomini del no, ma dando soluzioni concrete all’annoso problema dei rifiuti e dando soluzioni che possano essere compatibili con il territorio e quindi, ovviamente, opporci in modo fermo alla discarica, così come anche convenuto dagli altri comuni flegrei e associazioni che sono i veri attori di questa battaglia”.

 Erano stati voluti in maggioranza per rafforzare le basi dell’amministrazione targata Sauro Secone, nonostante due anni prima si erano candidati con il centrodestra. Sono i consiglieri dell’Udc i quali, dopo che nel corso degli anni hanno raddoppiato il loro numero, passando da due a quattro (agli “iniziali” Nunzio Felaco e Michele Di Falco si sono poi aggiunti Carlo Mario Giaccio, ex Udeur e Giuseppe Esposito, ex democratico ed ex margheritino) Il sindaco Secone, nel luglio del 2009 li volle con sé. Il loro ingresso in maggioranza vide anche una forte presenza nell’esecutivo, con l’arrivo di Lino Buonanno, divenuto contemporaneamente vice-sindaco nonché assessore alle Attività Produttive. Il loro apporto, però, si è man mano trasformato in una vera e propria spina nel fianco del sindaco. Diversi, infatti, i “mal di pancia” che i consiglieri dell’Udc hanno fatto registrare nel corso del tempo, fino ad arrivare ad una clamorosa bocciatura di uno dei punti principali dell’agenda politica di Secone, la realizzazione del Piano Casa. L’opposizione di centrodestra e diversi esponenti usciti dalla maggioranza, pubblicarono un manifesto infuocato contro il sindaco Secone il quale, a sua volta, pubblicò un documento difensivo e programmatico con in calce anche il simbolo dell’Udc. Sembra che questa scelta, però, non venne preventivamente concordata con tutti i membri del partito. In bilico sarebbe stata per alcuni giorni anche la poltrona dello stesso Lino Buonanno. La crisi, poi, sembrava rientrata, ma pare che anche sulla realizzazione del Distretto Sanitario i consiglieri dell’Udc abbiano dimostrato di non gradire, almeno così come voluto dal sindaco Secone. Ieri mattina, poi, la stangata finale, con le dimissioni dei quattro consiglieri dello scudo crociato, una volta considerati i “salvatori” di Secone.  Tra di loro anche Giuseppe Esposito, una volta membro del Pd e addirittura candidato alla carica di consigliere provinciale per la circoscrizione di Quarto, Bacoli e Monte di Procida.
E’ già un caso quanto ha dichiarato Giovanni Amirante, capogruppo dei Verdi, tra i firmatari delle dimissioni. “Siamo già pronti a partire per le prossime elezioni con una nuova coalizione, all’interno della quale ci saranno tutti coloro che hanno sfiduciato il sindaco, compreso eventualmente anche il Pdl”. Così Amirante, che già prevede un cartello elettorale con il centrodestra. Una scelta che per Francesco Emilio Borrelli, coordinatore regionale dei Verdi, sarebbe anche accettabile, “visto che Secone ci ha tenuto fuori dalla maggioranza per tre anni. Ciò che invece mi ha mandato su tutte le furie sono state le dimissioni di Amirante, arrivate in un momento così delicato per la città, visto la battaglia in atto contro l’apertura di una discarica. Sono arrabbiatissimo per questa mossa del consigliere, tra l’altro non concordata con me e di cui non sapevo nulla. Valuterò con attenzione quanto accaduto e incontrerò lo stesso Amirante quanto prima”.  

martedì 1 febbraio 2011

Terzo incendio doloso in pochi giorni, torna l'ombra del racket

Pubblicato su Cronache di Napoli del 1 febbraio 2011


POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Ancora un incendio di natura dolosa a Pozzuoli, il terzo in pochi giorni. Le fiamme questa volta hanno avvolto una videoteca di via Artiaco, tra piazza Capomazza e via Campana, la Video Fantasy. Nella tarda serata di domenica alcuni passanti hanno notato le fiamme fuoriuscire dalla saracinesca del negozio e dal distributore automatico di dvd. Il veloce arrivo dei vigili del fuoco, del distaccamento di Monterusciello, ha limitato i danni i quali, però, stando ad una prima stima, sarebbero di circa 10mila euro. Sull’ennesimo episodio incendiario in città stanno indagando gli agenti del commissariato di polizia di Pozzuoli i quali hanno anche ascoltato il titolare delle videoteca, P.R. L’uomo avrebbe raccontato di non aver subito né minacce né richieste estorsive nel recente passato. Un passato, però, che vedrebbe la stessa vittima già protagonista di un episodio analogo, subito pochi anni fa. Come prova della dolosità dell’incendio ci sarebbe un pezzo di stoffa ritrovato nei pressi dell’ingresso della videoteca il quale sarebbe stato intriso di benzina e poi dato alle fiamme. Nessun corto circuito tra le cause esterne che avrebbero potuto dare inizio all’incendio. Da chiarire, ora, le cause del gesto. Intimidazione o vendetta? Appare sempre più difficile non collegare i diversi episodi analoghi che negli ultimi giorni hanno interessato diverse attività commerciali. Il 22 gennaio scorso, a Licola, ignoti hanno dato alle fiamme due imbarcazioni, all’interno del rimessaggio Nautica Service di via del Cantiere, non lontano dalla stazione della circumflegrea. L’incendio è scoppiato intorno alle 9,30 del mattino. Anche in quell’occasione i vigili del fuoco non hanno avuto dubbi sull’origine dolosa dell’incendio che è costato la distruzione parziale di un gommone di cinque metri di lunghezza e di un altro natante di vetroresina, andato totalmente distrutto. Come da copione, il titolare del rimessaggio nautico ha raccontato di non aver subito alcuna intimidazione o richiesta estorsiva. L’incendio di Licola seguiva di pochi giorni quello scoppiato all’interno dell’officina meccanica Baldino, all’interno del rione Toiano. Gli esecutori materiali del raid incendiario non si preoccuparono di far sparire le prove inoppugnabili dell’origine volontaria del loro gesto. I carabinieri del comando di Pozzuoli ritrovarono poco distante una tanica utilizzata per trasportare la benzina alla quale avrebbero poi dato fuoco. In fiamme, oltre a buona parte del locale, anche due autovetture ferme in attesa di essere riparate, una Wolkswagen Golf e una Fiat Punto, avvolte totalmente dalla fiamme.   Tre raid incendiari in poco più di una settimana, dunque, nella cittadina flegrea. A questi, poi, ci sarebbe da aggiungere anche un altro episodio inquietante avvenuto il 14 gennaio. Il titolare dell’autolavaggio Del Sole di Monterusciello, P.D. venne picchiato all’interno della struttura da quattro persone giunte sul posto a volto scoperto. Dopo il pestaggio furono sparati diversi colpi di pistola, calibro 7,65, all’indirizzo di due auto parcheggiate nel cortile dello stesso autolavaggio. Episodi tutti “slegati” tra loro? 

lunedì 31 gennaio 2011

La marcia dei 15mila per dire "no" alla discarica

Pubblicato su Cronache di Napoli del 30 gennaio 2011


QUARTO (Alessandro Napolitano) – Sono numeri da record quelli riguardanti la manifestazione di ieri pomeriggio a Quarto, contro l’idea di realizzare una discarica in una delle cave di tufo di via Spinelli. Almeno 15mila i partecipanti al corteo che si è snodato per le vie della città, fino a concludersi nei pressi di una delle cave che la Provincia di Napoli avrebbe individuato come sito di stoccaggio. Una marcia pacifica a cui hanno preso parte l’intera amministrazione comunale, il Comitato Antidiscarica di Quarto, rappresentanti di tutti i principali sindacati dei lavoratori, i parroci delle cinque chiese della città, i sindaci di Bacoli e Marano, segretari di partito anche di altri comuni, consiglieri provinciali e regionali, Legambiente,  movimento dei Carc, Comitato Flegreo in Difesa dell’Ambiente e dei Lavoratori, intere scolaresche e tantissime altre sigle, ma anche i comitati antidiscarica di Chiaiano, Pianura, Terzigno e rappresentanti ambientalisti giunti da ogni quartiere di Napoli. Il corteo, scortato da una cinquantina di uomini delle forze dell’ordine, si è concluso con l’intervento di diversi rappresentanti e movimenti, ma anche del parroco delle chiesa Gesù Divin Maestro, don Genny Guardascione e del sindaco della città, Sauro Secone. “Il vescovo è con tutti noi” ha urlato dal palco allestito a pochi metri dalla cava di tufo, sottolineando come Monsignor Gennaro Pascarella abbia chiesto attraverso una nota ufficiale rivolta a tutti i rappresentati delle istituzioni di avere maggiore coscienza al momento di prendere alcune decisioni. E’ poi toccato al sindaco Secone prendere la parola: “Dovranno passare su tutti i nostri  corpi prima di realizzare questa maledetta discarica, ma noi non lo permetteremo, né ora né mai. L’idea di voler risolvere il problema dei rifiuti in questo modo è del tutto errata”. La protesta, per, non finisce qui. Ogni giorno, nei pressi delle cave tufacee di via Spinelli, sarà attivo un presidio e verrà organizzata un’assemblea. Alla manifestazione di ieri pomeriggio avrebbe dovuto partecipare anche il professore Franco Ortolani, Direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio dell’università di Napoli Federico II. Il suo documento, però, riguardante l’impossibilità di realizzare una discarica sull’intero territorio flegrea, ma soprattutto a Quarto, non lascia spazio ad interpretazioni. “La coltivazione del tufo si è spinta fino a sfiorare la falda idrica che nella zona si rinviene tra i 10 e 15 metri al di sopra del livello del mare – ha scritto Ortolani -  Dopo la coltivazione le cave a fossa sono state parzialmente colmate con varie decine di migliaia di metri cubi di materiali di riporto di cui non si conosce la natura. Il fondo delle cave sfiora la falda che defluisce verso ovest. La cava a fossa non è idonea alla realizzazione di una discarica di materiali inquinanti”. Per l’associazione Costa dei Sogni “qualcuno si è messo in testa di aprire una nuova discarica a Quarto, a poche centinaia di metri, in linea d'aria, dal litorale. Una scellerata decisione, quella di individuare in una conca, in una depressione densamente abitata, l'area per scaricarvi rifiuti”. 

giovedì 27 gennaio 2011

Morto uomo "senza identità", dalle sue impronte ben 5 alias diversi. Potrebbe trattarsi di omicidio

Pubblicato su Cronache di Napoli del 21 gennaio 2011

Dopo otto giorni di agonia è morto l’uomo di cui ancora non si conosce esattamente l’identità. Era ricoverato dallo scorso 11 gennaio all’ospedale Santa Maria delle Grazie per una grave ferita alla testa di cui ancora non si sa nulla riguardo alla causa. Per giorni si è atteso il risveglio dell’uomo, l’unico che avrebbe potuto raccontare qualcosa in più riguardo quanto accadutogli. Il suo cuore ha cessato di battere alle 5 del mattino. Quattro giorni fa era stato trasferito dal reparto di rianimazione a quello di neurochirurgia del nosocomio puteolano. Le sue condizioni, seppur gravi, sembravano stazionarie e l’uomo appariva non più in pericolo di vita. Ad un improvviso peggioramento delle sue condizioni è seguita poi la morte. Un mistero resta ancora la sua identità. Quando l’uomo è stato soccorso dal personale del 118 - in via Cappella, a Monte di Procida – è stato trovato senza alcun documento addosso. La polizia del commissariato di Pozzuoli ha provveduto ad esaminare le impronte digitali dell’uomo dalle quali, però, sono emerse ben cinque identità differenti, tante quante lo stesso uomo aveva dichiarato in occasione di diversi controlli e fermi da parte delle forze negli anni passati. Il primo alias utilizzato dall’uomo è stato quello di Sergei Galichosky, ucraino nato nel 1981. Durante altri controlli, però, le sue impronte digitali sono state associate ad altri nominativi di poco differenti, ma con date di nascita diverse, come in un’occasione durante la quale dichiarò di essere nato nel 1971. Nel marzo di due anni fa l’uomo fu anche arrestato dai carabinieri di Bacoli e trasferito nel carcere di Poggioreale. Nella casa circondariale partenopea, però, l’uomo entrò con un nome “italianizzato”, come Sergio Gallicini. L’uomo aveva rapinato un cittadino senegalese dei prodotti per la casa che questi vendeva per strada. Dopo aver picchiato il venditore ambulante gli sottrasse il borsone con la merce, scappando poi via. I militari lo trovarono in possesso della refurtiva. Nonostante il nome italiano, l’uomo dichiarò di essere di nazionalità ucraina, tra l’altro neanche in regola con il permesso di soggiorno. Questa la sua storia giudiziaria più recente. L’11 gennaio scorso, invece, per l’uomo iniziano giorni drammatici. Trovato con una profonda ferita alla testa e privo di sensi lungo la strada, fu sottoposto ad un delicato intervento chirurgico all’ospedale di Pozzuoli. L’uomo non ha mai potuto raccontare la sua storia, viste le condizioni in cui si è trovato per otto lungi giorni, sedato e incubato. Nessuno ha visto nulla. Nessun testimone oculare avrebbe assistito al ferimento dell’uomo. Coinvolto in una rissa o investito da un’auto? Non si esclude che l’uomo possa essersi ferito da solo. In caso contrario la vicenda dell’uomo condurrebbe all’apertura di un fascicolo per omicidio.

Alessandro Napolitano 

Clan Longobardi-Benduce, il 17 febbraio inizia il maxi-processo

Pubblicato su Cronache di Napoli del 12 gennaio 2011


POZZUOLI (Alessandro napolitano) – Inizierà il prossimo 17 febbraio il processo a carico di decine di presunti affiliati e capi del clan denominato Longobardi-Beneduce. I pm Antonello Ardituro e Gloria Sanseverino hanno chiesto ed ottenuto il giudizio immediato, ma nelle prossime due settimane in molti potrebbero optare per il rito abbreviato o addirittura per il patteggiamento della pena. Tra gli oltre ottanta imputati ci sono personaggi ritenuti di spicco della malavita organizzata puteolana e quartese, come Gaetano Beneduce (difeso dall’avvocato Domenico De Rosa) e i numerosi membri della sua famiglia. Il presunto boss potrebbe scegliere per iniziare il “normale” dibattimento. Con lui, a processo ci sono i fratellastri Gennaro e Salvatore Ferro che molto probabilmente opteranno per il rito abbreviato, mentre a dibattimento potrebbero “andare” il figlio Rosario Beneduce e l’altro fratellastro Antonio Ferro. Il giudizio abbreviato potrebbe essere l’opzione scelta anche da Vincenzo Carnevale. Per quanto riguarda invece la famiglia Pagliuca – ritenuta essere la reggente del boss Gennaro Longobardi (in carcere del maggio del 2003) e presunta artefice dell’accordo con il clan Sarno di Ponticelli quasi tutti i componenti (difesi dall’avvocato Antonio Abet) potrebbero scegliere il rito abbreviato. Un’opzione che potrebbe riguardare Procolo Pagliuca e suo padre Salvatore; la moglie di quest ultimo, Partorina Arcone; i fratelli di Procolo Pagliuca, Cinzia e Mario; la moglie Francesca Mastantuoni. Già detenuto da tempo e condannato a ben 26 anni per spaccio di droga, Antonio Luongo potrebbe anch’egli optare per il rito abbreviato, così come Nicola Palumbo, considerato uno dei ras quartesi dei così detti “Quelli di fuori al Bivio”; Giacomo Russolillo e Raffaele Grieco. Non si esclude che alcuni di questi ultimi potrebbero scegliere il patteggiamento, come ad esempio Giuseppe Trincone e lo stesso Greco. Alla sbarra, inoltre, ci saranno anche Carmine Riccio, Ferdinando Marcellino, Antonio Delos, i fratelli Leonardo e Vittorio Avallone, Ferdinando Aulito e numerosi altri affiliati o presunti tali del clan Longobardi-Beneduce. Quindici giorni di tempo, dunque, per studiare la linea difensiva dei numerosi membri dell’organizzazione criminale dell’area flegrea con tre “carte” da giocare: dibattimento, rito abbreviato o patteggiamento della pena. Per tutti la principale accusa riguarda l’associazione di stampo mafioso prevista dall’articolo 416bis del codice penale, ma a questa, a vario titolo, ci sono da aggiungere estorsioni aggravate, spaccio di stupefacenti, possesso abusivo di armi da sparo, tentati omicidi e altro. Il 30 ottobre scorso il Tribunale di Napoli ha condannato sette affiliati al clan, tra cui alcuni che compariranno nuovamente davanti ai giudici il prossimo 17 febbraio: Salvatore Cerrone, condannato a 14 anni ed 8 mesi di reclusione; Carmine Riccio ad 11 anni; Angelo Carbone a 16 anni ed 8 mesi; Gennaro Coppola a 13 anni e 4 mesi; Giuseppe Chiaro a 12 anni ed 8 mesi, Raffaele Di Roberto a 13 anni e Luigi Itria a 10 anni.

Licola, incendio doloso in rimessaggio nautico, è il terzo episodio in pochi giorni a Pozzuoli

Pubblicato su Cronache di Napoli del 23 gennaio 2011

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – E’ senza dubbio di origine dolosa l’incendio che ha distrutto due imbarcazioni all’interno di un rimessaggio di barche, il Nautica Service di via del Cantiere, a Licola. Ignoti sono entrati in azione intorno alle 9,30 del mattino. Secondo una prima ricostruzione effettuata dai vigili del fuoco del distaccamento di Monterusciello e dai carabinieri del comando puteolano, sembra che alcuni uomini abbiano utilizzato delle bottiglie incendiarie per appiccare le fiamme. Totalmente distrutta un’imbarcazione in vetroresina e parzialmente avvolto dal fuoco un gommone di cinque metri. Nessun danno, invece, alla struttura così come non si sono registrate persone rimaste ferite. Secondo una stima approssimativa dei danni questi ammonterebbero a circa 80mila euro. E’ il secondo incendio doloso che si registra a Pozzuoli in appena quattro giorni ed il terzo episodio presumibilmente intimidatorio accaduto nella cittadina flegrea in poco più di una settimana. Nella notte tra martedì e mercoledì scorso le fiamme hanno avvolto l’autofficina meccanica Baldino di via Vespasiano, nel cuore del rione Toiano. La struttura ha riportato danni ingenti, ma le fiamme hanno raggiunto anche due automobili parcheggiate all’interno dell’officina, una Wolkswagen Golf e una Fiat Punto, andate totalmente distrutte. Qui i carabinieri hanno rinvenuto subito le prove evidenti dell’origine dolosa dell’incendio: una tanica contenente benzina, utilizzata presumibilmente dagli attentatori. Il proprietario dell’officina, A.B. di 47 anni, ha raccontato ai militari di non essere stato mai avvicinato da persone sospette e di non aver mai ricevuto minacce o richieste estorsive da parte della malavita organizzata. L’uomo, però, risulta essere cugino di un presunto affiliato al clan dei Longobardi. Il suo legame di sangue con presunti affiliati alla malavita locale avrebbe potuto renderlo un obiettivo da colpire, ma potrebbe trattarsi anche di una richiesta estorsiva effettuata da un gruppo malavitoso emergente. Pochi giorni prima, venerdì 14 gennaio, all’interno dell’autolavaggio Del Sole di Monterusciello, quattro persone a volto scoperto sono entrati nel cortile della struttura armati di pistola. Dopo aver malmenato il proprietario dell’autolavaggio, P.D. di 43 anni, i quattro hanno sparato diversi colpi di pistola all’indirizzo di due auto parcheggiate all’interno e appartenenti alla clientela dell’autolavaggio. Episodi inquietanti che avrebbero però tutti la stessa matrice: quella del racket delle estorsioni ad opera di nuovi gruppi malavitosi emergenti che vorrebbero “prendere il posto” dei gruppi storici che da anni imperversano sul territorio flegreo, una volta uniti sotto il cartello denominato Longobardi-Beneduce, ma divisi e contrapposti già da diverso tempo e i cui presunti capi e promotori, così come un altissimo numero di presunti affiliati, risultano essere ristretti in carcere o agli arresti domiciliari. Pozzuoli, dunque, terra di conquista per un gruppo emergente?

Dissequestrata cava Liccarblock in via Spinelli, la magistratura ne ordina la bonifica

Pubblicato su Cronache di Napoli del 27 gennaio 2011


QUARTO (Alessandro Napolitano) – E’ stato eseguito ieri mattina il dissequestro della cava di via Spinelli, finita sotto sigilli il 31 luglio del 2008 dopo un’operazione della Guardia di Finanza. Le accuse mosse ai gestori della cava era quella di aver sversato rifiuti speciali nell’incavo di tufo, con l’aggravante di aver svolto il tutto “a braccetto” con la malavita organizzata ed in particolare con il clan più temuto e potente della regione, quello dei casalesi. Ieri le Fiamme Gialle di Pozzuoli hanno eseguito il dissequestro disposto dal pm antimafia che ha dato vita all’inchiesta, Antonio Ardituro. Alla base del dissequestro c’è “l’ordine” impartito ai gestori della cava di tufo di eseguire la bonifica dell’area. Una volta portata a termine l’operazione di ripulitura della cava, questa tornerà nelle mani dell’autorità giudiziaria la quale ne deciderà poi la futura destinazione. Per i 40mila abitanti di Quarto potrebbe così aumentare il timore che la stessa cava, una volta bonificata, possa essere destinata ad accogliere i rifiuti dell’area flegrea, così come oramai sembra essere stato deciso dalla Provincia di Napoli. Non sarà, però, un’operazione di breve durata quella di bonifica della cava. Potrebbero trascorrere mesi prima che tutti i rifiuti speciali vengano portati via dalla cava. La bonifica, così come deciso dalla magistratura, sarà eseguita per mano degli stessi gestori della cava e a loro totale carico economico. Nell’estate del 2008 la Guardia di Finanza di Pozzuoli eseguì il sequestro della cava. Nella stessa inchiesta finirono anche 16 persone, tutte indagate a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e di associazione esterna con l'aggravante di aver agevolato la criminalità organizzata. Sotto sequestro finirono anche 12 automezzi utilizzati dalla società che gestiva la cava. Le imprese dedite allo smaltimento nella cava e finite nell'inchiesta ancora in corso avevano sede sia nella provincia di Caserta, in particolare a Casal di Principe, San Cipriano di Avesra e San Nicola la Strada, sia nella provincia di Napoli come Villaricca, Pianur e Quarto. Secondo gli investigatori risultano collegamenti tra il clan dei Casalesi e il clan Polverino di Quarto e i Nuvoletta di Marano. L’indagine venne stata condotta attraverso mirati servizi di osservazione compiuti dalla Finanza che conentirono di accertare, nel periodo tra febbraio e aprile del 2008, una costante attività di sversamento di rifiuti speciali non autorizzata, all’apparenza di provenienza edilizia. Il territorio di via Spinelli, sul quale insistono altre tre cave, fu già oggetto di attenzione e da parte del commissariato prefettizio nel 2007, per l’eventuale inserimento nel piano del parco dei Campo Flegrei, anche per la vicinanza con la zona archeologica della necropoli e della così detta “Fescina”, traccia millenaria della storia locale.

sabato 22 gennaio 2011

Processo su voto di scambio a Quarto, nuovo rinvio ad ottobre. Alla sbarra 101 imputati

Pubblicato su Cronache di Napoli del 20 gennaio 2011

Per il processo a carico di 101 imputati per voto di scambio e altro è arrivato un nuovo rinvio. Se ne riparlerà il prossimo 20 ottobre. Così è stato deciso nella sede distaccata di Pozzuoli del tribunale di Napoli. Aumenta, a questo punto, il rischio che l’intero procedimento possa finire in prescrizione. E’ dal marzo del 2010 che il processo tenta invano di iniziare, ma fino ad ora sono giunti solo rinvii. L’ultimo è stato dovuto al mancato insediamento del giudice che dovrà presiedere il procedimento. Una vera e propria corsa contro il tempo, dunque, per la magistratura che tenterà, magari con la programmazione di diverse udienze in poche settimane, di recuperare il tempo fin qui trascorso. Alla sbarra ci sono ben 101 imputati. L’accusa principale riguarda il voto di scambio in occasione della tornata elettorale del maggio del 2007. La notte precedente il sabato pre-elettorale, centinaia di carabinieri perquisirono uffici, abitazioni private, cantine, garage e automobili. Furono trovate in diversi casi tessere elettorali originali e fotocopiate, fogli manoscritti con cifre in denaro e  nominativi di cittadini elettori, volantini elettorali indicanti candidati sindaci e consiglieri comunali. Decine di persone furono ascoltate dai carabinieri nei giorni successivi. Una vera e propria bufera sui abbatté sulla città che tornava al voto dopo l’ennesimo commissariamento della macchina comunale. Una valanga di avvisi di garanzia furono recapitati a presunti “galoppini”, esponenti politici e candidati alla carica di primo cittadino. Il successivo rinvio a giudizio, giunto nell’ottobre del 2009, ha riguardato due consiglieri comunali attualmente in carica, Armando Chiaro (Popolo delle Libertà) e Gennaro Prencipe (candidatosi da sindaco con Italia di Mezzo) C’è anche chi si è costituito parte civile. Si tratta dell’avvocato Gaetano Montefusco che, “sfruttando” quanto previsto dall’articolo 9 del decreto legislativo 267 del 2000 (Ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia) tenterà di arrivare ad un risarcimento danni per l’ente comunale in caso di condanne. La costituzione in parte civile non riguarderà il caso dell’imputata Fabiola D’Aliesio, candidata sindaco con la Lista Comunista, su cui gravano accuse del tutto diverse rispetto agli altri imputati nello stesso procedimento, tra cui vilipendio alla magistratura Le indagini che hanno portato all’apertura dell’inchiesta furono condotte dalla Direzione Investigativa Antimafia di Napoli, promosse dai pubblici ministeri Gloria Sanseverino e Antonio Ardituro. 

Alessandro Napolitano

giovedì 20 gennaio 2011

Auto contro bus a Monterusciello, un morto e due feriti

Pubblicato su Cronache di Napoli il 26 gennaio 2011

POZZUOLI - Un impatto violentissimo che non ha lasciato scampo a Bernardo Falco, 57enne di Qualiano, deceduto ieri mattina a Monterusciello, dopo che la sua auto è finita frontalmente contro un bus di linea. L’uomo è morto sul colpo. Feriti lievemente l’autista del bus, un 32enne di Pozzuoli ed una donna ucraina di 46 anni che si trovava tra i passeggeri. Erano le 8,30 del mattino. Bernardo Falco stava percorrendo via Monterusciello al volante della sua auto, una Suzuki Wagon, in direzione di Pozzuoli. Sulla corsia opposta un mezzo delle linee Ctp con venti passeggeri all’interno. Dai rilievi effettuati dai carabinieri subito dopo l’incidente, pare che sia stata l’automobile guidata da Bernardo Falco a sbandare. La vettura, infatti, avrebbe invaso la corsia opposta sulla quale transitava il mezzo pesante. L’impatto è stato violentissimo. L’auto è finita frontalmente contro il bus. Nulla avrebbe potuto fare l’autista, visto anche la larghezza della carreggiata (nei pressi del parco Cuma) Sembra, inoltre, che Bernardo Falco non abbia nemmeno tentato di frenare. Le gravissime ferite riportate dall’uomo non gli hanno lasciato scampo. Nel giro di pochissimi minuti l’uomo è spirato. Sul posto, oltre ai carabinieri del comando di Pozzuoli e della stazione di Monterusciello, sono giunti anche i medici del 118 che non hanno potuto fare altro che accertare il decesso del 57enne. La salma di Bernardo Falco è stata trasferita al II Policlinico di Napoli dove verranno effettuati i rilievi autoptici, così come ha stabilito l’autorità giudiziaria. L’autista del bus Ctp e la donna ucraina, entrambi feriti seppur in maniera lieve, sono stati curati all’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli. I medici hanno riscontrato contusioni multiple e un forte stato di ansia. La prognosi è di tre giorni. Nessun altro passeggero del bus è rimasto ferito, anche se diverse persone sono rimaste fortemente scioccate dal brutale impatto e dalla morte dell’uomo. Al momento dell’incidente, sembra che Bernardo Falco non indossasse la cintura di sicurezza. Dall’autopsia emergeranno altri dati interessanti. Potrebbe essere chiarito del tutto se il 57enne di Qualiano, al momento della perdita di controllo della sua auto, abbia avuto un malore o se, invece, si sia trattato soltanto di una distrazione, magari dovuta ad un improvviso colpo di sonno. La strada su cui ha trovato la morte Bernardo Falco non era, per l’uomo, sconosciuta. Da tempo, infatti, il 57enne di Qualiano si interessava di lavori edili sulla fascia costiera. Un tratto di strada, dunque, ben conosciuto. Via Monterusciello, che collega Pozzuoli con il popoloso quartiere residenziale e con Quarto, è rimasta chiusa al traffico per diverse ore. Una scelta obbligata per le forze dell’ordine, per permettere la rimozione dei mezzi coinvolti nel tragico incidente e per la pulizia del manto di asfalto, completamente ricoperto di detriti  e di olio, perso dall’auto guidata da Bernardo Falco. Le ripercussioni sulla viabilità sono state evidenti per l’intera mattinata. Soltanto intorno alle 11,30 la situazione si è normalizzata.

Spari contro le auto parcheggiate nell'autolavaggio, c'è la mano della camorra?

Pubblicato su Cronache di Napoli il 15 gennaio 2011

POZZUOLI - Hanno prima violentemente malmenato il titolare di un autolavaggio e poi hanno sparato almeno una decina di colpi di pistola all’indirizzo di alcune auto parcheggiate, fuggendo subito dopo e facendo perdere le propria tracce. E’ accaduto intorno alle 18,30 di ieri. Teatro dell’agguato chiaramente intimidatorio è stato l’autolavaggio “Del Sole”, in località La Schiana. Il titolare, P.D, di 47 anni, stava lavorando come tutti i giorni all’interno del suo autolavaggio. All’interno della struttura c’erano anche diverse auto della clientela, parcheggiate in diversi posti, tra le auto ancora da lavare e quelle invece in attesa di essere asciugate. Quattro persone arrivano nei pressi dell’autolavaggio con un’automobile. Dopo averla parcheggiata tutti scendono dalla vettura e si dirigono verso il titolare dell’impianto. Il trattamento riservato all’uomo è violentissimo. Calci e pugni dati davanti agli occhi atterriti della clientela. L’uomo cade per terra, ma non è ferito in maniera grave. Prima di andare via, però, le quattro persone, tutte a volto scoperto, decidono di dare un’altra lezione al titolare dell’autolavaggio. Ad essere state prese di mira due automobili appartenenti ad altrettanti clienti dell’autolavaggio. Diversi colpi di pistola vengono sparati contro le due vetture. Subito dopo l’atto dimostrativo i quattro risalgono nella loro auto, scappando poi via a tutta velocità. Sul posto arrivano i poliziotti del commissariato di piazza Italo Balbo. A terra restano i bossoli dei proiettili appena sparati. Nessun è ferito durante la sparatoria. L’unico ad aver riportato alcune escoriazioni è stato il titolare malmenato dai quattro. Un gesto chiaramente dimostrativo e intimidatorio quello messo a segno dai quattro di cui ora si cercherà di individuare l’identità. C’è probabilmente il racket delle estorsioni dietro quanto è accaduto nel tardo pomeriggio di ieri. Le modalità d’azione utilizzate dai quattro lascerebbero, infatti, presagire la volontà di “avvertire” la proprietà dell’autolavaggio. Per ora, logicamente, si tratta soltanto di ipotesi. Tra queste, però, potrebbe anche essere presa in considerazione dagli inquirenti una “pista privata”. Torna il piombo, quindi, a Pozzuoli. Pallottole sparate non per commettere una rapina (l’ultima mercoledì pomeriggio, in via Napoli: bottino di 37mila euro portati via dalla Mps)  bensì per intimorire o punire qualcuno.