domenica 29 aprile 2012

Clan Polverino, arrivano i rinvii a giudizio. A giugno inizia il maxi-processo

Castrese Paragliola, ex presidente del Calcio Quarto
(Pubblicato su Cronache di Napoli del 29 aprile 2012)
 
QUARTO (Alessandro Napolitano) – Saranno 90 gli imputati che dal prossimo 11 giugno affronteranno il processo con rito ordinario e accusati a vario titolo di avere avuto collusioni con il clan Polverino. Sono infatti state accolte tutte le richieste di rinvio a giudizio avanzate dai pubblici ministeri antimafia. Tra gli imputati personaggi ritenuti di spicco dell'organizzazione criminale, tra cui Salvatore Liccardi, detto “pataniello” che, secondo l'accusa, sarebbe tra i vertici assoluti del clan, una posizione acquisita soprattutto negli ultimi anni. Spiccano, poi, i nomi di Fabio Allegro, Giuseppe Cammarota, Giuseppe Perrotta, Angelo D'Alterio e Castrese Ippolito. Tra chi è stato rinviato a giudizio anche l'imprenditore Castrese Paragliola, ex presidente del Calcio Quarto. A giudicare l'enorme mole di imputati sarà la Nona Sezione Penale Collegio C del Tribunale di Napoli, mentre il collegio difensivo sarà composto tra gli altri dagli avvocati Rosario Marsico, Antonio Abet, Amedeo Di Pietro, Giovanbattista Vignola, Marco Muscariello e Domenico Ducci. Oltre ad accogliere tutte le richieste di rinvio a giudizio, sono stati confermati per intero i capi d'accusa. Il principale resta quello di associazione a delinquere di stampo mafioso. Per molti, però, oltre alla violazione dell'articolo 416 bis del codice penale, ci sono anche le accuse di estorsione aggravata, detenzione, traffico e spaccio di stupefacenti, porto abusivo di arma da fuoco nonché intestazioni fittizie di beni riconducibili al clan. Su quest ultimo punto, ad essere rinviati a giudizio anche tutti gli imprenditori, attualmente a piede libero, che operavano nel campo della panificazione e del commercio di carni. Un vero e proprio maxi-processo, dunque che nelle fasi iniziali andrà di pari passo con l'altro “troncone” processuale a carico di presunti affiliati al clan che fa capo al boss Giuseppe Polverino (la cui posizione è stata stralciata in attesa dell'estradizione dalla Spagna) ma che si celebrerà con il rito abbreviato. Alla sbarra altre 50 persone, tra cui Armando Chiaro (agli arresti domiciliari da nove giorni, dopo quasi un anno di detenzione in carcere) l'ex consigliere comunale arrestato in piena campagna elettorale, il 3 maggio di un anno fa. Con 143 imputati divisi in due diversi procedimenti, quello contro il clan Polverino rischia di essere uno dei processi di camorra più importanti degli ultimi decenni per ciò che riguarda la provincia di Napoli. Tra gli imputati nomi importanti dell'imprenditoria locale, come Nicola Imbriani, catturato lo scorso gennaio a Brugine, in provincia di Padova. Un intreccio tra malavita organizzata, mondo imprenditoriale e politica. Questa la principale tesi dell'accusa sostenuta dai pm Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio e Maria Cristina Ribera,  titolari dell'inchiesta “Polvere” e che dallo scorso agosto ha potuto contare anche sul pentimento di Roberto Perrone, ras del clan per gli affari riguardanti Quarto.

mercoledì 25 aprile 2012

Clan Longobardi-Beneduce, tutto pronto per il processo d'Appello

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 25 aprile 2012)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Inizierà il prossimo 6 giugno il processo d'Appello a carico di numerosi esponenti del clan Longobardi-Beneduce, reduci dalla sentenza dello scorso 21 settembre che vide condanne esemplari per molti imputati. In secondo grado saranno giudicati nuovamente non solo coloro che sette mesi fa sono stati condannati a 20 anni di carcere – Salvatore Pagliuca, suo figlio Procolo e Ferdinando Aulitto – ma anche gli assolti. I pubblici ministeri antimafia hanno chiesto il processo d'Appello per il fratellastro ed il figlio del presunto boss Gaetano Beneduce, vale a dire Gennaro Ferro e Massimiliano Beneduce. I pm avevano chiesto per i due strettissimi parenti del presunto capoclan rispettivamente 18 e 8 anni di carcere. Contro la sentenza di assoluzione sarà processato in secondo grado anche Sergio Covone per il quale l'accusa aveva chiesto una condanna a 14 anni. Come detto, nel processo d'Appello che si aprirà il 6 giugno davanti alla Settima Sezione Penale del Tribunale di Napoli, comparirà anche chi ha ricevuto pesantissime condanne. Tra questi la moglie di Salvatore Pagliuca, Partorina Arcone, condannata a 18 anni di cella. Potrebbero dunque mutare le pesanti condanne arrivate dopo sette mesi dall'inizio del processo, celebrato con il rito abbreviato. Pene severe che riguardarono anche i fratelli Avallone, Leonardo e Vittorio, condannati rispettivamente 14 e 11 anni di carcere; 14 anni per l'altro figlio di Gaetano Benedeuce, Rosario; 12 anni per Luciano Compagnone e Umberto De Simone; uno in meno per Francesco Saverio Di Costanzo, Raffaele Di Francia e Salvatore Ferro; 10 anni per il fratello di Procolo Pagliuca, Mario. Per tutti l'accusa principale è stata di associazione a delinquere di stampo mafioso, mentre a vario titolo ci sono le accuse di estorsione aggravata, traffico di stupefacenti, porto illegale di armi. Con 56 imputati alla sbarra, 47 condanne e 9 assoluzioni, il processo conclusosi il 21 settembre scorso è stato il più importante nella storia della malavita organizzata flegrea, superando per condanne quello a carico di Gennaro Longobardi e altri conclusosi nel 2008 in Appello, con piccoli “sconti” di pena rispetto al primo grado. Intanto un altro importantissimo processo sta andando avanti a colpi di dichiarazioni da parte dei collaboratori di giustizia, quello che vede imputati Gaetano Beneduce e altri 10 e che si sta celebrando con il rito ordinario. A comparire è stato un “nuovo” pentito, Roberto Perrone, già affiliato storico del clan Polverino. I pubblici ministeri hanno chiesto ed ottenuto di poterlo ascoltare anche nel procedimento a carico del clan puteolano, cosa avvenuta nei giorni scorsi. Per domani, inoltre, dovrebbero arrivare i rinvii a giudizio per decine di indagati, accusati di collusione con il clan che fa capo al boss Giuseppe Polverino (la cui posizione è stata stralciata, in attesa dell'estradizione dalla Spagna) mentre per maggio dovrebbe avere inizio un altro processo con rito ordinario. 

lunedì 23 aprile 2012

Armando Chiaro lascia il carcere, ai domiciliari l'ex consigliere comunale

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 22 aprile 2012)

QUARTO (Alessandro Napolitano) – Armando Chiaro, l'ex consigliere comunale arrestato un anno fa con l'accusa di essere legato al clan Polverino, è tornato a casa. La richiesta di revoca della misura cautelare in carcere è stata accolta dal Tribunale di Sorveglianza. Ora il 36enne si trova agli arresti domiciliari, nella sua abitazione di Quarto. Armando Chiaro ha trascorso oltre 11 mesi in cella. In manette ci finì all'alba del 3 maggio di un anno fa. I carabinieri che lo arrestarono eseguirono un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Napoli, su richiesta dei pubblici ministeri antimafia che dal 2007 stavano indagando sugli affari del clan Polverino. Nell'ambito della stessa operazione – denominata “Polvere” - finirono in carcere decine di persone. Tra queste anche chi si apprestava ad affrontare un campagna elettorale, come lo stesso Armando Chiaro (candidato nella lista del Popolo delle Libertà e consigliere uscente) e Salvatore Camerlingo (cugino di Salvatore Liccardi, detenuto) 28 anni, candidato invece con Noi Sud. In manette anche noti imprenditori, come il costruttore edile nonché presidente del Calcio Quarto, Castrese Paragliola. Dopo appena tre anni dalla riacquistata libertà, finì in manette anche colui che poi, diventando collaboratore di giustizia, avrebbe rivelato tantissimi segreti del clan operante da anni tra Quarto e Marano, ma con ramificazioni soprattutto in Spagna: Roberto Perrone, vero e proprio “pezzo da 90” del clan. Oggi Perone è un pentito e le sue rivelazioni sono state alla base di altre operazioni, come il sequestro di numerosi immobili riconducibili a uomini dei Polverino. Valore: circa 27 milioni di euro. Una bufera giudiziaria che è ancora lontana dal conoscere la parola “fine”. Armando Chiaro ha scelto di essere processato con il rito abbreviato. In settimana potrebbe arrivare il rinvio a giudizio che riguarderà altre 50 indagati. L'ex consigliere dovrà difendersi dall'accusa di avere intestato a sé stesso un'abitazione spagnola del boss Giuseppe Polverino, all'epoca della latitanza di quest'ultimo, ma anche dall'accusa di avere avuto incontri con il capo-clan, sempre in Spagna, per discutere circa la realizzazione di una discarica. Affare che avrebbe visto coinvolto anche Nicola Imbriani, destinatario anch'egli di un'ordinanza cautelare in carcere, sottrattosi per otto mesi alle manette. La sua latitanza finì a gennaio. Venne arrestato in provincia di Padova assieme ad altre due persone; Salvatore Sciccone e Giorgio Cecere, quest'ultimo candidatosi come Camerlingo nella lista Noi Sud. In manette e poi ai domiciliari il padre del coordinatore locale della lista, Castrese Savarese, cognato di Nicola Imbriani.

sabato 21 aprile 2012

Ospitò in casa il latitante Liccardi, guardia giurata perde lavoro e porto d'armi

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 20 aprile 2012)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Avrebbe ospitato nella propria abitazione un latitante di primissimo piano legato al clan Polverino, perdendo così la qualifica di guardia giurata ed il porto d'armi. Ieri è arrivata la sentenza che respinge il suo ricorso contro la Prefettura ed il Ministero dell'Interno. Non potrà più lavorare come guardia giurata, tanto meno potrà portare con sé una pistola. Il latitante è considerato un elementi di primissimo piano del clan guidato dal boss Giuseppe Polverino, vale a dire Salvatore Liccardi, alias “pataniello”, detenuto da oramai da otto mesi ed accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, traffico di stupefacenti e altro. La guardia giurata, S.G. Era impiegato dal 1988 presso una delle più importanti società di vigilanza privata. Dopo la cattura di Salvatore Liccardi, nel settembre scorso e dopo che l'uomo si era resi irreperibile in seguito ad un'ordinanza di custodia cautela emessa a suo carico, a fare luce sui retroscena del clan Polverino ci hanno pensato anche diversi collaboratori di giustizia. Uno di questi avrebbe raccontato di come la guardia giurata avesse favorito la latitanza di salvatore Liccardi. Da qui la decisione da parte del Ministero dell'Interno e della Prefettura. Oltre al coinvolgimento del vigilantes in un procedimento penale, è arrivata anche la “parte” amministrativa, con la sospensione dell'uomo dal suo lavoro. Contro quest'ultima decisione la guardia giurata ha fatto ricorso al Tribunale Amministrativo della Campania. La Quinta Sezione ha spiegato che “i requisiti attitudinali o di affidabilità dei richiedenti di tali licenze devono pur sempre essere desunti da condotte del soggetto interessato, anche diverse da quelle aventi rilievo penale e accertate in sede penale, ma devono essere significative in rapporto al tipo di funzione o di attività da svolgere”. In pratica il vigilantes non avrebbe avuto una condotta cristallina, avendo avuto contatti un po' troppo ravvicinati con un ricercato legato alla camorra. Aggiungono i giudici della Quinta Sezione, riferendosi sempre al vigilantes: “non solo aveva ospitato un latitante esponente di spicco del clan Polverino nella propria abitazione oggetto di dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia, ma veniva anche trovato in possesso di un fucile privo di matricola appartenuto in vita ad un suo omonimo, dovendosi conseguentemente propendere per un sicuro rilievo negativo della propria personalità in termini di inclinazione alla illegalità”.

mercoledì 18 aprile 2012

Clan Longobardi-Beneduce, altre cinque condanne per estorsione

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 18 aprile 2012)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Dopo le condanne penali nei confronti dei cinque estorsori ritenuti legati al clan Longobardi-Beneduce – Biagio Fruttaldo (12 anni e 6 mesi) Carmine Riccio (12 anni) Marcello Moio (7 anni e 6 mesi) Silvio De Luca (12 anni) e Ferdinando Marcellino (6 anni) – ora si attende la decisione circa il risarcimento danni che  verrà presa a favore delle parti civili. Nel giudizio della Nona Sezione Collegio A del Tribunale di Napoli si sono stabilite, per ora, soltanto le “provvisionali”, vale a dire una “quota parte da imputarsi alla liquidazione definitiva”, così come stabilito nella sentenza. Le provvisionali a favore   dell'imprenditore taglieggiato, testimone di giustizia, che con al sua denuncia ha fatto scattare l'intera inchiesta, sono di 30mila euro, mentre è di 10mila euro la somma destinata sempre a titolo di provvisionale a favore complessivamente del comune di Pozzuoli, di quello di Bacoli, della Regione Campania e dell'associazione anti-racket Sos Impresa. Oltre alle provvisionali decise in fase penale, per i cinque condannati è arrivato anche l'ordine di provvedere alle spese processuali. A favore di Palazzo Santa Lucia andranno 2mila euro, mentre 4mila sono stati stabiliti per tutte le altre   parti civili. Ci sono poi le multe, sempre a carico di  Biagio Fruttaldo, Carmine Riccio, Marcello Moio, Silvio De Luca e Ferdinando Marcellino. Per Fruttaldo l'ammenda è di 2400 euro;  per Riccio di 2mila, per Moio 1800 euro, per De Luca 2500, mentre la multa più bassa è quella riguardante Marcellino: mille euro. Tutti i condannati, poi, sono stati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, mentre l'interdizione legale avrà la stessa durata della pene detentiva. Per l'associazione coordinata a livello nazionale da Luigi Cuomo e difesa dall'avvocato Alessandro Motta si tratta di un altri importante successo e che arriva a pochi giorni dal raggiungimento di un altro obiettivo: convincere un altro imprenditore a costituirsi parte civile in un altro processo, quello a carico di Diego Scognamiglio, 32 anni, anch'egli accusato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Oltre all'imprenditore, Sos Impresa  ha caldeggiato la costituzione in parte civile del comune di Pozzuoli. “Ditegli a Don Antonio che siamo i compagni e che chiamasse i compagni di Marano...Sono venuto già due volte e la prossima volta che vengo è l'ultima, Perché vengo a chiudervi”. Con queste parole il 32enne avrebbe cercato di estorcere l'imprenditore puteolano, attivo nel campo della ristorazione. Era il luglio del 2011.

domenica 15 aprile 2012

Rapinatori spietati, disabile scaraventato dalla sedia a rotelle

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 15 aprile 2012)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Non  si sono fermati nemmeno davanti ad un disabile costretto alla sedia a rotelle i due rapinatori che nella serata di venerdì hanno rapinato un negozio di alimentari ad Arco Felice. Lo hanno scaraventato a terra, pur di spaventare gli altri dipendenti e portare a termine il “lavoro”. L'ennesima rapina ai danni di un esercizio commerciale ha visto portare via dai malviventi circa 500 euro. Sull'episodio sta indagando la polizia del commissariato di piazza Italo Balbo. Erano le 20,30. La titolare del negozio di via Montenuovo Licola Patria si stava accingendo a chiudere quando sono spuntati due uomini, entrambi con un casco integrale indossato. Uno dei due impugna una pistola. Vogliono l'incasso della giornata, ma la cassa è oramai chiusa. Nella concitazione e in evidente stato di agitazione, uno dei due rapinatori fa cadere dalla sedie a rotelle il fratello della titolare, lasciandolo sul pavimento. Nessun tentativo di aiutare l'uomo a rialzarsi da parte dei malviventi che poi sono “costretti” a portarsi via l'intero registratore di cassa. I due rapinatori fuggono a piedi. Pare che nessuno li abbia visti salire su auto o moto, nonostante indossassero dei caschi integrali. Sul posto è immediatamente giunta una volante della polizia. Ora si cercano eventuali tracce lasciate dai due balordi, come le immagini riprese dalle telecamere a circuito chiuso installate all'esterno degli altri negozi della zona. Due settimana fa, a pochissimi metri di distanza, fu una farmacia ad essere teatro di un'altra rapina. Una dinamica perfettamente identica a quella di venerdì sera, con due uomini con il volto coperto. Uno solo di loro è armato. Nonostante la presenza di diversi clienti, i rapinatori non esitarono a puntare l'arma ad altezza uomo. Anche in quell'occasione i malviventi entrarono in azione quando mancava poco all'orario di chiusura. Una scelta ovvia, visto la “garanzia” di poter trovare un bottino più florido. A 200 metri di distanza, poi, un'altra rapina venne messa a segno ai danni di un distributore di carburante. Sette giorni prima era toccato ad una tabaccheria nel rione Toiano subire una rapina in pieno giorno. In quell'occasione i malviventi spararono anche un colpo di pistola per intimorire chiunque chiunque li avesse voluti ostacolare. Appena 24 ore prima, sempre nel rione Toiano, un'altra rapina veniva messa a segno ai danni del supermercato Md, lo stesso che a gennaio subì un altro colpo durante il quale uno dei malviventi colpì il titolare con il calcio della pistola. Per tutte le ultime rapine non si esclude che queste state messe a segno da persone del luogo, dal momento che si sono sempre allontanati a piedi, in direzione della vicine palazzine o vicoli.

sabato 14 aprile 2012

Danni economici e di immagine, il comune chiede il risarcimento ai Polverino

Il sindaco Massimo Carandente Giarrusso
(Pubblicato su Cronache di Napoli del 13 aprile 2012)

QUARTO (Alessandro Napolitano) – Il comune di Quarto si costituirà parte civile nei processi a carico del clan Polverino. L'ufficializzazione è arrivata ieri, direttamente dal sindaco Massimo Carandente Giarrusso. Il comune flegreo, dunque, seguirà la stessa strada già intrapresa da quello di Pozzuoli in altri procedimenti, come quelli a carico di esponenti del clan Longobardi-Beneduce. Il primo cittadino ha dato mandato all'Ufficio Legale di via De Nicola per “predisporre gli atti amministrativi necessari per consentire la costituzione in parte civile del Comune di Quarto in tutti i giudizi che vedono coinvolto l’Ente e relativi ai reati di associazione camorristica; Quarto è stata abbondantemente infangata ed è giusto che chi sbaglia paghi ma anche che non venga fatta di tutta l’erba un fascio. La nostra città ha tante cose belle e non può essere sempre mortificata". Una forte richiesta di chiarezza, dunque, quella avanzata da Giarrusso, trovatosi a sedere sulla poltrona da sindaco nel bel mezzo di una bufera giudiziaria senza precedenti. In piena campagna elettorale per le amministrative del 2011, infatti, Quarto fu teatro di un blitz che portò in carcere 40 persone, tra cui anche due candidati alla carica di consigliere comunale, ma anche imprenditori e “notabili”. Un'inchiesta, quella dell'Antimafia di Napoli, partita del 2007, ma che fino ad oggi ha visto finire nel registro degli indagati ben 143 nomi. Mentre da una parte molti degli indagati hanno fatto richiesta per essere processati con rito abbreviato, dall'altra si prospetta un processo con rito ordinario da grandi numeri. Stralciata la posizione del boss Giuseppe Polverino e di quella di Raffaele Vallefuoco, ancora detenuti in Spagna ed in attesa dell'estradizione in Italia. I due furono catturati dopo anni di indagini dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli, con la collaborazione della Guardia Civil Spagnola. E' l'ennesima vicenda giudiziaria per la cittadina flegrea, dopo quella riguardante il presunto voto di scambio del 2007 (il processo a carico di 101 persone è in fase di dibattimento) e quella riguardante la realizzazione del centro commerciale Quarto Nuovo, nel 2006. In tutti i procedimenti molti degli indagati risultano essere gli stessi.  Il sindaco Giarrusso, intanto, cerca di fare luce sui beni confiscati alla malavita e ricadenti sul territorio di Quarto, tra cui l'area di via Marmolito su cui una volta insisteva il cementificio del clan Polverino. “Ho anche chiesto un elenco, un inventario di tutti i beni confiscati e sequestrati alla criminalità organizzata, rientranti nel patrimonio del Comune di Quarto e nell’uso attuale dello stesso - ha spiegato Giarrusso - al fine di accelerare i procedimenti di destinazione di tali beni, rimuovendone eventuali ostacoli”. Fino ad oggi, purtroppo, nessun progetto ha mai preso vita. Una piscina olimpionica, poi “ridimensionata” a piscina da 25 metri, fino ad arrivare ad un “semplice” centro polisportivo. Nessuna delle idee proposte dalla precedente amministrazione è stata mai accettata e finanziata dalla Provincia.  

giovedì 12 aprile 2012

Processo Polverino, sale a 50 il numero di richieste di rito abbreviato

Luigi Carandente Tartaglia, detto "Giggino 'a guerra"
(Pubblicato su Cronache di Napoli del 12 aprile 2012)

QUARTO (Alessandro Napolitano) – Si allunga copiosamente la lista degli indagati, accusati di avere avuto collusioni con il clan Polverino, che hanno chiesto di essere processati con il rito abbreviato. Dopo gli oltre 30 nomi presentati una settimana fa – tra cui quello dell'ex consigliere comunale Armando Chiaro – altri 20 sono giunti al giudice per le indagini preliminari Paola Russo. Ieri mattina, in occasione di una nuova udienza preliminare, gli avvocati difensori hanno fatto richiesta per ottenere un procedimento abbreviato per i loro assistiti. Tra questi i legali di Luigi Carandente Tartaglia, detto Giggino 'a guerra, 36 anni. L'uomo finì in manette in occasione dell'arresto dell'allora latitante Salvatore Liccardi, alias Pataniello, 38 anni. Carandente Tartaglia venne sorpreso assieme a Liccardi in un'abitazione, durante una partita di Champion's League del Napoli. Secondo gli inquirenti Luigi Carandente Tartaglia sarebbe stato il vivandiere del latitante, ossia Liccardi, ex autista e uomo di fiducia di Roberto Perrone, 48 anni, oggi collaboratore di giustizia. Tra i nomi che spiccano tra i tantissimi che hanno optato per il rito abbreviato quello di Sabatino Cerullo, classe '67, detto Ciccio Pertuso, accusato di essere una pedina fondamentale del clan per ciò che riguarda il traffico di stupefacenti dalla Spagna all'Italia.  Un ruolo che il 44enne avrebbe condiviso con un altro degli indagati, Raffaele D'Alterio,  41 anni, detto Lelluccio 'a segnurina, anch'egli  tra chi ha optato per il rito abbreviato. A scegliere per il processo che in caso di condanna prevede uno “sconto” della pena pari ad un terzo, c'è anche Anna Mauriello, 36 anni, moglie di Giuseppe Perrotta alias Peppe 'o banchiere. I due coniugi sono accusati anche di essere stati degli usurai, sempre per conto del clan Polverino, con richieste di interessi sulle somme di denaro prestate ad imprenditori e commercianti che potevano arrivare al 120 per cento all'anno. Al processo abbreviato anche Antonio Sommella, 36 anni. L'uomo è stato indicato dal collaboratore di giustizia Domenico Verde tra coloro che avrebbero frequentato l'abitazione spagnola del boss Giuseppe Polverino, a Cuma Ruga, nella provincia di Barcellona. La scelta del rito abbreviato è stata presa anche da Biagio Cante, 41 anni, secondo gli uomini dell'Antimafia elemento di spicco del clan Polverino per gli affari legati al traffico di hashish e personaggio legato all'organizzazione criminale da moltissimi anni, tanto che un pentito, Antonio Ruocco, lo individuava già nel 1994. Sono quindi già 50 gli indagati che nelle prime due udienze preliminari del processo a carico del clan Polverino hanno depositato le proprie richieste per il rito abbreviato. Non si esclude che possano aggiungersene altri. Il prossimo 28 aprile dovrebbe arrivare il rinvio a giudizio per tutti. Entro quella data dovranno essere depositate anche le eventuali  richieste di parte civile. Si attende ancora l'ufficializzazione da parte del comune di Quarto, così come in più occasioni ha ripetuto il sindaco Massimo Carandente Giarrusso.

martedì 10 aprile 2012

Dipendente comunale sparisce nel nulla, era rinchiuso a Poggioreale

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 7 aprile 2012)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Di giorno lavorerà al comune, ma subito dopo dovrà tornare a casa, agli arresti domiciliari. E' la singolare vicenda che vede protagonista un dipendente dell'ente locale di cui non si erano avute più notizie da un giorno all'altro. Inutile cercarlo a casa sua. L'uomo, infatti, si trovava rinchiuso nel carcere di Poggioreale, condannato per contrabbando. Ora però il magistrato di Sorveglianza gli ha concesso non solo di scontare la pena ai domiciliari, ma anche di poter ritornare al suo posto di lavoro. Si tratta di un 57enne, impiegato al Servizio Tecnico del Traffico - Ufficio Affissioni del comune di Pozzuoli. Lo scorso 6 febbraio il 57enne non si era recato al lavoro. Dopo alcuni tentativi per rintracciarlo era quindi seguita una segnalazione per “assenza ingiustificata”. Subito dopo, il 13 febbraio scorso, dai piani alti del comune era giunta la sospensione del lavoratore. Secondo il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro "il dipendente colpito da misura restrittiva della libertà personale è sospeso di ufficio dal servizio con  privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o comunque dello stato restrittivo della libertà personale”. Contestualmente l'avvocato di fiducia del dipendente comunale faceva finalmente luce sulla assenza ingiustificata del suo cliente. Il 57enne era in carcere. Doveva scontare 1 anno e 4 mesi per contrabbando. Una sentenza passata in giudicato, dunque, con tanto di ordine di carcerazione. Iniziava, poi, il lavoro dell'avvocato volto a far riacquistare la libertà al lavoratore, seppur limitata. Il 57enne, essendo divorziato, deve anche sostenere economicamente una figlia, alla quale cede mensilmente una parte del suo stipendio. Inoltre, il lavoratore del comune non era certo un recidivo. Quella nei suoi confronti per contrabbando era l'unica grana giudiziaria che l'uomo avesse mai avuto. Grazie anche al provvedimento così detto “svuota carceri”, il 57enne otteneva il beneficio degli arresti domiciliari, ma soprattutto l'affidamento in prova all'ente locale. In effetti al comune di Pozzuoli l'uomo ci lavora fin dal 1987. Il 24 marzo, scorso, finalmente per il protagonista della singolare vicenda, arriva il placet per poter riprendere posto al comune. Dall'Ufficio Sorveglianza di Napoli si sottolinea come il 57enne sia "autorizzato ad effettuare attività lavorativa alle dipendenze del comune di Pozzuoli dal lunedì al venerdì dalle ore 08.00 alle ore 15.15 con prolungamento pomeridiano il martedì sino alle ore 17.00". In realtà non è l'unico caso, al comune di Pozzuoli, di lavoratori che abbiano avuto guai con la giustizia. Nel settembre scorso un Lsu venne sorpreso, in pieno orario di lavoro, a svolgere una mansione “alternativa” in via Terracciano: quella di parcheggiatore abusivo nei pressi dell'area mercatale. Nel luglio dell'anno prima, invece, un agente della polizia municipale venne arrestato dai carabinieri dopo che nella sua abitazione vennero rinvenuti 170 grammi di hashish.

domenica 8 aprile 2012

Abusi edilizi, tre sequestri per il consigliere Micillo: "Siamo in regola, lo dimostreremo"

L'ingresso di una delle ville della famiglia Micillo
(Pubblicato su Cronache di Napoli del 7 aprile 2012)

QUARTO (Alessandro Napolitano) – Sale a tre il numero dei sequestri per violazione delle norme edilizie nei confronti del consigliere comunale Andrea Micillo. I carabinieri, dopo le operazioni del 26 e del 30 marzo che riguardarono anche le abitazioni private dei quattro figli dell'esponente cittadino del Pdl, venerdì hanno effettuato un altro sequestro, con la collaborazione dell'Ufficio Tecnico Comunale. Si tratta di un manufatto del valore di circa 800mila euro realizzato su un terreno con destinazione agricola e suddiviso in cinque appartamenti. Tre di questi sono stati affittati a privati, mentre i restanti due sono inoccupati. Oltre al cambio di destinazione d'uso del terreno, i carabinieri contestano anche la violazione delle legge 435 del 1985, la così detta “Galasso”, per essere i manufatti troppo vicini ad un corso d'acqua, quello di via Crocillo. Il terreno è di proprietà della moglie del consigliere comunale, A.B. Di 60 anni, ma data in fitto alla moglie di uno dei figli di Andrea Micillo, R.A. di 32 anni, imprenditrice agricola. La donna, secondo il permesso a costruire rilasciato nel 2008, avrebbe potuto modificare il manufatto già esistente, ma solo con destinazione agricola, compreso un'abitazione destinata all'eventuale “fattore”. Nel 2009 venne effettuato un accertamento di conformità. Secondo le accuse mosse dai militari del maresciallo Antonio Flore, i due manufatti originari non avrebbero potuto finire per diventare un solo corpo, come poi accaduto. Esclusa, dunque, anche l'ipotesi che all'interno si fossero potuti realizzare singoli appartamenti. Ed invece le abitazioni sono cinque e, come detto, tre già locate. L'intera superficie è di circa 500 metri quadrati. Inoltre, i carabinieri contestano alla 32enne l'aver costruito a meno di 150 metri da un corso d'acqua e dunque violando il vincolo paesaggistico previsto dalle legge Galasso dell'85. Si tratta della terza operazione anti-abusivismo in meno di dieci giorni riguardante la famiglia di imprenditori edili il cui capostipite, Andrea, è consigliere comunale sin dal 2007. Il 26 marzo erano finiti sotto sequestro 16 appartamenti, sempre in via Crocillo, mentre il 30 marzo l'operazione riguardò le quattro lussuose ville di via Caselanno all'interno delle quali vivono gli altrettanti figli del consigliere. “I nostri legali di fiducia sono già al lavoro. Chiariremo tutto, non c'è stato alcun abuso – avevano già dichiarato i Micillo, in occasione del secondo sequestro, quello riguardante le ville di via Caselanno - Secondo le ultime disposizioni e stando anche a quanto previsto dal Piano Casa nonché specificato dall'Ufficio Tecnico, il proprietario del terreno in questione può tranquillamente “donare” ai propri figli la residenza in quelle pertinenze. Lo si evince anche dalle Linee Guida emanate dall'Utc recentemente, non più tardi di tre mesi fa. E' previsto, cosa che abbiamo fatto, il cambio di destinazione d'uso, senza incorrere in irregolarità. Inoltre, per quanto riguarda le altre opere ritenute abusive, come ad esempio le piscine, c'è la possibilità di sanarle attraverso un versamento economico al comune. Tra le altre contestazione ci sono poi altre opere, ma si tratta di manufatti smontabili e non fissi”.

sabato 7 aprile 2012

Rapina da mezzo milione in pieno centro, in cinque "ripuliscono" la gioielleria Pezzuto

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 5 aprile 2012)

QUARTO (Alessandro Napolitano) – E' di circa mezzo milione di euro il valore del bottino che una banda di rapinatori è riuscita a portare via dalla gioielleria Pezzuto di corso Italia. Collane, anelli, orecchini, pietre preziose e orologi di gran valore. Era tutto custodito un cassaforte, ma sotto la minaccia delle armi, al titolare del negozio ed ai suoi dipendenti non è rimasto altro che arrendersi. Sulla rapina stanno ora indagando i carabinieri della tenenza guidata dal maresciallo Antonio Flore. E' accaduto martedì sera, intorno alle 19 e 30. All'interno del negozio di preziosi, a pochi passi dal centro storico, erano rimasti il titolare, due dipendenti ed un cliente quando fa ingresso un uomo fingendosi anch'egli cliente. Ben vestito e senza alcuna inflessione dialettale, l'uomo chiede di poter visionare alcuni oggetti preziosi. Questi però sono custoditi nella cassaforte da tre tonnellate alle spalle del “bancone”. Mentre i dipendenti mostrano gli oggetti richiesti, l'ultimo cliente lascia il negozio. Immediatamente dopo, colui che era entrato per ultimo, estrae una pistola puntandola contro chi stava al di là del bancone. Sotto la minaccia dell'arma il titolare viene costretto ad aprire la porta blindata. Fanno ingresso altre quattro persone. Sono tutte armate di pistola ed indossano un casco integrale. In pochi minuti i malviventi fanno incetta di tutto, lasciando praticamente vuota la cassaforte. Un'azione fulminea e a quanto pare ad opera di professionisti. Nessuno di loro avrebbe mostrato nervosismo. Con estrema calma ed assoluta freddezza, i cinque malviventi svuotano la gioielleria, prima di dileguarsi in sella a diverse motociclette nel frattempo parcheggiate all'esterno del negozio di gioielli. Ora, a disposizione dei carabinieri, potrebbero esserci le immagini riprese dalle telecamere a circuito chiuso, poste sia all'esterno che all'interno della gioielleria. Le uniche fattezza riconoscibili potrebbero essere quelle dell'uomo che fingendosi cliente è riuscito a farsi aprire la cassaforte, prima di estrarre una pistola. Potrebbe essersi trattata di un'arma-giocattolo. Il sistema di rilevazione di metalli, infatti, non ha dato nessuna allarme al momento del suo ingresso nel negozio. Una rapina, dunque, che per valore non ha precedenti per la cittadina flegrea. Mezzo milione di euro di gioielli portati via in pochi minuti e co estrema semplicità. Una rapina del tutto simile si consumò il 19 febbraio scorso ai danni del negozio di gioielli Pennacchio, in via Palumbo a Giugliano. Per rallentare il traffico e agevolare l'uscita di uno dei componenti della banda di rapinatori, uno di questi riuscì a fermare un'auto in transito e, fatto scendere il proprietario, la pose di traverso, impedendo alle altre vetture di transitare. Intanto, nella mattinata di ieri, un anziano di 80 anni è stato seguito da due rapinatori dalla banca fino a via Pietra Bianca. Qui i malviventi, dopo averlo colpito alla testa con il calcio di una pistola, gli hanno portato via circa 4mila euro, tanto quanto aveva poco prima prelevato.

Clan Polverino, Armando Chiaro sarà processato con rito abbreviato

L'ex consigliere comunale Armando Chiaro
(Pubblicato su Cronache di Napoli del 6 aprile 2012)

QUARTO (Alessandro Napolitano) – Sono trenta gli indagati che, accusati a vario titolo di avere avuto un ruolo nel clan Polverino, hanno scelto di essere processati con il rito abbreviato. Tra questi spicca il nome di Armando Chiaro, 36 anni, ex consigliere comunale finito in manette nel blitz del 3 maggio 2011 ed attualmente detenuto. Le richieste sono state depositate dagli avvocati difensori al giudice per le indagini preliminari Paola Russo, nell'udienza svoltasi ieri all'interno dell'aula bunker di Poggioreale. La prossima udienza è prevista per l'11aprile. Tra chi ha fatto richiesta di procedimento abbreviato anche Antonio Schiano Lomoriello, 39 anni, detto 'o biondo. Per Armando Chiaro rimane l'accusa di essere stato un “colletto bianco” del clan Polverino, visto anche la sua attività politica. Chiaro, infatti, è stato eletto consigliere comunale nelle fila di Forza Italia nel maggio del 2007, rimanendo in carica fino al febbraio 2011, quando l'amministrazione di centrosinistra guidata dall'ex sindaco Secone “cadde” per le dimissioni di 16 consiglieri. L'anno scorso Armando Chiaro ci aveva riprovato, candidandosi con il Popolo delle Libertà, ma in piena campagna elettorale scattarono le manette. Nonostante le detenzione, per Chiaro arrivarono ben 385 preferenze che lo portarono all'elezione, mai realmente concretizzatasi. Poco dopo, infatti, arrivò dal Prefetto di Napoli la sospensione dalla carica elettiva. Secondo le accuse rivolte contro l'ex consigliere da uno dei collaboratori di giustizia, Domenico Verde, Chiaro si sarebbe intestato un'abitazione spagnola del boss Giuseppe Polverino. Con lo stesso capoclan, inoltre, Armando Chiaro si sarebbe incontrato in territorio iberico per discutere circa la realizzazione di una discarica all'interno di una cava tufacea di via Spinelli, a Quarto. A chiedere il processo abbreviato, come detto, anche Antonio Schiano Lomoriello, accusato dai pubblici ministeri titolari dell'inchiesta denominata “Polvere”, di essere un factotum di Salvatore Cammarota, in particolare di esserne l'autista. Cammarota è finito in carcere dopo aver latitato per due mesi, destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare da eseguire nel maggio del 2011. Venne trovato nel luglio scorso dai carabinieri, nascosto in un covo nelle campagne tra Quarto e Marano. Schiano Lomoriello, secondo il pentito Giovanni Piana, “gestiva, fino al 2003/2004, un disco pub del Cammarota[...]. Il pub è tutt’ora di proprietà del Cammarota, anche se mi sembra che sia cambiata la gestione. In generale, lo Schiano Moriello si interessa delle attività del Cammarota, è un suo factotum”. A confermare le parole di Piana, anche il pentito Domenico Verde, secondo il quale il 39enne sarebbe "compariello di Salvatore Cammarota. Si tratta sostanzialmente di un factotum del Cammarota anche se talvolta l’ho visto in Spagna ed ha avuto quindi contatto con il Polverino. Ricordo che questa persona gestiva anche, per conto del Cammarota, un ristorante-birreria [...] ubicato sui Camaldoli in località Torre Caracciolo. So queste cose per esperienza diretta dal momento che ho anche frequentato questa birreria".

giovedì 5 aprile 2012

Processi di camorra, il pentito Perrone pronto ad incastrare anche Gaetano Beneduce

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 4 aprile 2012)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Domani mattina i destini di due diversi clan si incroceranno come mai avevano fatto prima. A distanza di pochi metri uno dall'altro, all'interno del tribunale di Napoli, i due processi a carico del clan Longobardi-Beneduce e quello contro il clan Polverino si intrecceranno. Il collaboratore di giustizia Roberto Perrone, oramai il più importante pentito del clan che fa capo a Giuseppe Polverino, potrebbe essere ascoltato anche nel processo che vede alla sbarra Gaetano Beneduce, accusato di essere uno dei capi storici dell'oramai disciolta organizzazione criminale di Pozzuoli. Un intreccio giudiziario, dunque, che nasce dalla mai celata amicizia tra i due clan che andava ben oltre i semplici rapporti di buon vicinato. Perrone ha recentemente rilasciato ai pubblici ministeri importantissime dichiarazioni riguardanti, però, non solo il suo “gruppo”, ma anche quello di Pozzuoli. La richiesta di inserire anche Perrone tra le persone da ascoltare, potrebbe già arrivare domani mattina, in occasione di una nuova udienza del processo con rito ordinario che vede Gaetano Beneduce imputato assieme ad altre 11 persone. Contemporaneamente inizieranno le audizioni di altri due pentiti del clan puteolano, Carmine Toscanese e Gennaro Testa. E' stato proprio Toscanese, all'inizio della sua collaborazione con lo Stato, a raccontare dei buoni rapporti tra il suo clan e quello dei Polverino. Parlando di un summit che si svolse tra Pozzuoli e Quarto, Toscanese ha dichiarato: "Ci recammo con due auto alla Montagna Spaccata in località chiamata il castagnaro in una villetta dove ci portò il Perillo Gennaro e lì incontrammo Gennaro Longobardi che all'epoca era latitante che sopraggiunse dopo circa 15 minuti con una macchina blindata. Sopraggiunse poi Roberto Perrone della frazione di Quarto che era “una cosa” insieme a Beneduce e a Longobardi, Salvatore Cerrone e Avio (Garofalo Ottavio)". Prima della sua cattura, avvenuta nel settembre del 2009, Gaetano Beneduce avrebbe trascorso la sua latitanza anche a Marano, storica roccaforte dei Polverino. Senza il beneplacito del clan maranese, il presunto boss non avrebbe mai potuto nascondersi lì. Un'ipotesi, questa, confermata anche da un altro pentito, Francesco De Felice: "In merito a dove si trovi attualmente il Beneduce, ritengo che lo stesso si trovi nascosto a Marano". Raccontando di un'estorsione da portare a termine, De Felice inoltre ha detto: "Dopo alcuni incontri, ai quali parteciparono Pataniello (Salvatore Liccardi, ndr) e Antonio Bevilacqua, il primo cercò una mediazione, e arrivò a formulare la seguente proposta: a noi sarebbero spettati 90.000 euro e gli altri 60.000 euro sarebbero andati a Beneduce. Avemmo perciò la certezza che il Beneduce si trovasse a Marano, tanto è che Pataniello contrattava a suo nome”. Un uomo di spicco dei Polverino, dunque, che parla a nome del capo di un altro clan. Un'altra verità, quindi, che potrebbe trovare certezza quando Perrone testimonierà anche nel processo a carico di Gaetano Beneduce.