giovedì 26 gennaio 2012

Parla l'amante dei boss. Anni di sangue e piombo ora hanno un imputato: l'ex marito

(Pubblicato su Cronache di Napoli del 25 gennaio 2012)

POZZUOLI (Alessandro Napolitano) – Ha raccontato tutto ciò che sa, dopo aver vissuto per anni al fianco di uomini ritenuti elementi apicali del clan Longobari-Beneduce. Monica Scotto Pagliara è la testimone di giustizia che ha aiutato non poco i magistrati dell’Antimafia ad indagare sull’oramai ex cartello camorristico, duramente colpito al cuore da pesantissime condanne e procedimenti ancora in corso. E’ proprio nell’ambito di uno di questi – il processo con rito ordinario che vede alla sbarra 11 imputati, tra cui il presunto boss Gaetano Beneduce (difeso dall’avvocato Domenico De Rosa) – che la Pagliara ha risposto alle domande della difesa e dell’accusa. La donna è stata addentro agli affari del clan per molti anni, essendo stata legata sentimentalmente con ben tre uomini che hanno avuto ruoli determinanti nell’organizzazione criminale, come il boss Gennaro Longobardi (che sta scontando una pena a 13 anni di carcere per associazione di stampo mafioso ed estorsione aggravata) il presunto boss Beneduce (detenuto dal settembre del 2009 dopo un lungo periodi di latitanza) e soprattutto Giampaolo Villano, destinatario di un’ordinanza di custodia in carcere eseguita il 24 giugno del 2010, durante il blitz che portò in cella decine di affiliati al clan e ricevuta direttamente in cella in quanto già detenuto. Monica Scotto Pagliara è la moglie di Villano, 37 anni, accusato di molti fatti di sangue rimasti per anni a carico di ignoti. Grazie alle approfondite indagini dei carabinieri del comando di Pozzuoli, del Nucleo Investigativo di Napoli e del commissariato di piazza Italo Balbo, ma anche alle copiose dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, molti tentati omicidi compiuti negli ultimi anni a Pozzuoli hanno ora un imputato. La Pagliara, che ha deciso di diventare testimone di giustizia già nel 2004, ha di fatto confermato quanto dichiarato in precedenza durante altri interrogatori. Ora ha raccontato nuovamente davanti ai giudici fatti e circostanze di cui è stata testimone diretta ed indiretta. A carico di Villano, come detto, molti tentati omicidi. Il primo tentato omicidio per cui è imputato risale a quasi 19 anni fa e riguarda il ferimento di Antonio Mele, detto ‘o campagnolo. Il 15 marzo del 1993, nel rione Toiano, Mele venne gravemente ferito da numerosissimi colpi di pistola, tanto da renderlo parzialmente invalido. Contro Villano e in riferimento a questo agguato ben tre collaboratori di giustizia: Antonio Perrotta, Alessandro Lucignano e Francesco De Felice. Giampaolo Villano è anche imputato per la gambizzazione di Nunziante Sannino, avvenuta il primo novembre del 1995. l terzo fatto di sangue di cui è accusato Villano riguarda il ferimento di Giuseppe Trincone, detto Peppe ‘o licc’, il 5 gennaio del 1996. Il pentito Perrotta ha raccontato: "Fu ferito da Giampaolo Villano. Io e Beneduce sapemmo dell'agguato mentre eravamo in Francia, perché il Beneduce ricevette una telefonata, non so da parte di chi". Un’altra corrispondenza arriva dal collaboratore Lucignano: "Io ho assistito personalmente all’agguato,  poiché mi trovavo davanti al bar Fiore[...]sentii sparare, andai sul posto e vidi Trincone che era stato ferito al petto. Vidi anche la macchina che erano arrivati che una Fiat Uno turbo di colore grigia di proprietà di Giampaolo ‘o biondo”.

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